Quando non si è ancora spenta l’eco dei tre bambini (1, 6 e 12 anni) rimasti uccisi ieri l’altro a Gòrlovka, altri tre morti si sono registrati ieri a Donetsk. Questo, a poche ore – ma, al momento in cui scriviamo, non possiamo esserne del tutto certi – dall’entrata in vigore del cessate il fuoco previsto dagli accordi di Minsk. Dell’ennesima strage di civili, i rappresentanti di Donetsk incolpano gruppi di sabotatori ucraini, che agirebbero all’interno dei centri abitati.

In ogni caso, il leader di Donetsk, Aleksandr Zakharcenko, ha firmato l’ordine sul cessate il fuoco dalla mezzanotte, con la postilla dello «stroncamento di ogni provocazione». Tra l’altro, Zakharcenko ha specificato che nei documenti di Minsk non si fa cenno alla sacca di Debaltsevo (in cui sono bloccati da settimane dai 6 agli 8mila soldati ucraini e, sembra, diverse centinaia di mercenari stranieri), ragion per cui, ha detto, «ogni tentativo degli accerchiati di venirne fuori verrà bloccato dalle milizie».

Zakharcenko ha anche ribadito la posizione delle Repubbliche popolari sulle possibili conseguenze di una eventuale (che nessuno ancora, purtroppo, si sente di escludere) mancata attuazione degli accordi; dopo averli qualificati come «una grande vittoria», la prova che «è possibile influire su Minsk», ha detto che la Repubblica di Donetsk (Dnr) potrebbe pretendere il controllo dell’intero territorio regionale, nel caso venissero disattese le sue rivendicazioni. «Il territorio della Dnr fa parte della regione di Donetsk. Se non verranno attuate le nostre rivendicazioni sull’indipendenza di fatto, dichiareremo nostra tutta la regione. Se non sarà possibile farlo per via politica, abbiamo dimostrato che è possibile anche in altro modo» ha dichiarato, in toni da cui traspariva tutta la tensione che si viveva ieri nel Donbass. Il leader separatista, mentre ha detto che nessun partito tra quelli presenti alla Rada sarà ammesso alle elezioni nel Donbass, ha anche annunciato la formazione di reparti della milizia da destinare al servizio di frontiera.

Era evidente che, ieri, ognuno dei contendenti interpretasse a modo proprio la vigilia del cessate il fuoco: se da una parte sembrava si agisse sul futuro assetto della regione, dall’altra – soprattutto i nazionalisti e neonazisti che non accettano «la sconfitta» di Minsk – non si desisteva dai tentativi di azzerare i deboli passi verso la pace: i colpi di mortaio che avevano causato i tre morti, erano caduti vicini alla residenza di Zakharcenko, poco prima del suo incontro coi giornalisti.

In precedenza, il rappresentante della Dnr al gruppo di contatto, Denis Pushilin, aveva dichiarato che «Donetsk e Lugansk stanno mettendo a punto le proposte di modifica alla Costituzione ucraina, sul punto relativo al diritto «di alcune regioni» a formare autonomamente le strutture del potere locale. Sulla questione della decentralizzazione – punto 11 degli accordi di Minsk: formazione di una polizia locale, nomina di giudici, bilanci e tassazione propri, creazione di zone economiche libere, status ufficiale della lingua russa e delle lingue di altre minoranze ecc. – Dnr e Lnr propongono a Kiev di iniziare quanto prima la discussione.

Intanto, mentre il ministero degli Esteri russo ha espresso «seria preoccupazione» per presunte alterazioni degli accordi di Minsk da parte di Washington e Kiev, sulla scia delle interpretazioni datene dai «nazionalisti radicali della Rada», il ministero della Difesa qualifica come «divinazione sui fondi di caffè» le dichiarazioni Usa sulla presenza di artiglierie russe nella zona di Debaltsevo.

Ma, a proposito di armi, da Kiev giunge la notizia della nomina dell’ex presidente georgiano Mikhail Saakashvili, falco Nato nel Caucaso, a consigliere di Petro Poroshenko per il coordinamento delle forniture di armamenti a Kiev. Non è escluso che, con tale mossa, Poroshenko tenti di esorcizzare il sortilegio di chi, dopo Minsk, lo vede come un “cadavere politico”, alla mercé dei radicali ucraini contrari a ogni accordo con il Donbass.