Persino la popstar Madonna si fregiava di avere nella sua camera da bagno pezzi della Cesame. Un marchio internazionale che negli anni Settanta e Ottanta, il periodo d’oro, era sinonimo di qualità, eleganza, cura dei dettagli. Roba da vip, ma soprattutto pezzi che piacevano a tanta gente comune che arredava la propria casa con i sanitari made in Sicily. Una grande azienda, creata nel ’55 nell’area industriale di Catania, diventata leader nel settore della ceramica durante il boom economico toccando le vette dei mercati per poi precipitare, a inizio del nuovo millennio, in un vortice infernale fatto di crisi finanziaria, speculatori, immobiliaristi, cambi di proprietà e burocrazia. Un crollo verticale, culminato nel fallimento con i libri contabili portati in Tribunale nel 2007, con i lavoratori rimasti per anni senza paracadute sociale mentre pareva senza via d’uscita la diatriba tra i commissari nominati sotto leggi-Prodi e la curatela fallimentare.

Ma si deve proprio ai lavoratori se il marchio dopo nove anni è ritornato alla ribalta. Cesame è risorta dalle ceneri del fallimento e ieri nel vecchio stabilimento, depredato dai vandali e dal tempo, è stata posata la prima pietra: entro dodici mesi la fabbrica sarà completamente ristrutturata e attrezzata per consentire la ripresa della produzione. Dietro al miracolo non c’è un cavaliere bianco, non c’è un fondo di venture capital e non ci sono i milionari cinesi.

C’è la «cooperativa Cesame». Ci sono 80 lavoratori, alcuni storici, che hanno deciso di scommettere sulla loro azienda, mettendoci i propri risparmi e persino quelle quote di cassa integrazione straordinaria che hanno versato sul conto corrente della cooperativa invece di utilizzarle per sopravvivere. Ci hanno creduto e ci sono riusciti. «È stata dura, molto dura e ancora c’è da lavorare: ma siamo molto soddisfatti del risultato», dice Giuseppe D’Aquila, segretario della Filctem Cgil a Catania.

Con la costituzione in cooperativa gli ex dipendenti hanno rilevato il 50% dello storico stabilimento, circa 50 mila metri quadrati, accendendo un mutuo con Unicredit di circa 2 milioni di euro. A garanzia c’è il contratto di sviluppo regionale, lo strumento finanziario creato dalla Regione siciliana proprio su impulso proprio della cooperativa Cesame (ma aperto a qualsiasi altra iniziativa imprenditoriale) che vale 10 milioni di euro: il 50% a fondo perduto (ex fondi Fas), il 25% di finanziamenti in conto capitale con un’operazione fatta con la banca pubblica Irfis e la restante parte con fondi versati dai soci-lavoratori, tra cui 1,7 milioni di Cigs.

A guidare il progetto è Sergio Magnanti, manager e già amministratore delegato dell’azienda ai tempi floridi in cui esportava in 40 Paesi e ora presidente della cooperativa. «Oggi festeggiamo un risultato concreto, dopo anni di sacrifici e di lotte», spiega. «Il confronto con la concorrenza sarà duro, ma questa azienda continua a essere un punto di riferimento per tutto il Sud Italia e un esempio di made in Italy che trova forza nel radicamento territoriale», aggiunge.

Il business plan è ambizioso: raggiungere in tempi brevi almeno un quarto della produzione passata, che si aggirava su circa un milione di pezzi all’anno. Il caso Cesame è stato al centro dell’assemblea annuale di Federmanager Sicilia orientale, a Catania. «Management, istituzioni e lavoratori possono lavorare congiuntamente per salvaguardare il patrimonio produttivo di questa Regione», sostiene Giuseppe Guglielmino. Per Federmanager il cosiddetto modello workers buyout, che consiste proprio nella ri-acquisizione di un’azienda fallita, in liquidazione o in crisi, da parte dei suoi dipendenti, va sostenuto attraverso un tris di azioni: meno burocrazia, accesso facilitato ai fondi strutturali europei 2020-2040, introduzione di management esperto in azienda, anche temporary.

La burocrazia è stato il grande nemico dei lavoratori, all’indomani del fallimento della Cesame. Era il 2007. Ci sono voluti ben nove anni per poter trasformare l’idea della cooperativa, lanciata subito dopo il default, in un progetto di sviluppo. «Il merito dei lavoratori è stato quello di non arrendersi, di stare sempre un passo avanti alla politica e saperla indirizzare – spiega il segretario della Filctem Cgil D’Aquila – Invece di optare per la strada degli ammortizzatori sociali, hanno scelto quella della salvaguardia della propria azienda».

La Filcetm Cgil valorizza il ruolo avuto dal governatore Rosario Crocetta, dal suo vice Mariella Lo Bello e dal dirigente Attività produttive della Regione, Alessandro Ferrara. «Abbiamo litigato spesso con loro – ricorda D’Aquila – ma va dato atto che hanno creduto e dato fiducia al progetto industriale della cooperativa».