Domenica scorsa la lettera di un compagno agitava un problema di notevole interesse.

Perché il manifesto non si occupa anche di cinema, dato che attraverso gli schermi passano comunicazioni politiche vere e proprie su cui i lettori devono venire sensibilizzati?

A distanza di pochi giorni Piero Arlori ha iniziato a occuparsi di due film analizzandoli dal punto di vista ideologico, ma naturalmente ha dovuto accentrare la sua attenzione su due film di notevole rilievo, di grande successo, e che dibattono in modo evidente un tema drammatico come il massacro degli indiani.

Ma il messaggio politico che ogni giorno, da centinaia di schermi, viene portato avanti dalla più inoffensiva commedia d’amore (che dice più cose sull’inferiorità della donna che non una intera campagna antidivorzista dell’ on. Greggi); dal film di Franchi e Ingrassia, col suo razzismo bonaccione e masochista; dal film che sembra quasi di «contestazione» e ritraduce i valori borghesi fondamentali sotto forma di amplessi multipli sotto il ritratto del Che?

Ovviamente il manifesto non può assumersi il compito di commentare tutti i film che escono e anche se lo facesse si correrebbe il rischio, credo, di fornire a molti lettori una riconferma consolatoria delle proprie idee: «Guarda che bravo quello, ha proprio detto quello che pensavo!», eliminando quella tensione che spinge invece a dire «cribbio, ma queste cose la gente non le sa, bisogna bene che qualcuno gliele dica!».

Per cui mi piacerebbe che anche i futuri, e fatalmente sporadici, interventi del manifesto sul cinema, si inserissero nel piano più vasto di un circuito di controinformazione.

Intendiamoci anzitutto sul termine di controinformazione, almeno come mi pare giusto intenderlo.

Il manifesto non è un caso di controinformazione: è un quotidiano, stampato a Roma con mezzi industriali, che arriva nei posti più svariati attraverso i normali circuiti di distribuzione (anche se con gran fatica e tra mille ostacoli che gli altri mezzi di informazione non incontrano per ovvie ragioni); dà una informazione diversa dagli altri giornali, ma ripropone il rapporto consueto tra un lettore solo e il foglio che ha davanti a sé.

Voglio dire che la controinformazione non è caratterizzata dai suoi contenuti ideologici. Deve essere caratterizzata dal fatto che essa si realizza sulle spalle, per così dire, dell’informazione normale, prendendola in contropiede e succhiandole e il sangue.

Come una attinia che si installi sul groppone di un paguro bernardo, gli succhi il fluido vitale e lo risputi con una combinazione chimica diversa.

Controinformazione non significa dire al telegiornale cose diverse, ma andare dove la gente guarda il telegiornale e intervenire facendo notare come esso distorce le informazioni e come, interpretandolo tra le righe, si potrebbe cavarne informazione diversa.

Il vantaggio della controinformazione consiste allora nel cogliere il pubblico in un momento in cui è già sensibilizzato da qualcuno che parla, o scrive, e sulla base di quella attenzione già risvegliata indurlo a considerare le cose in modo diverso. In tal modo da un lato si critica il modo in cui l’informazione è data e dall’altro si aggiunge nuova informazione.

Ora chiediamoci se ci sia una situazione di maggiore sensibilizzazione di quella in cui qualcuno esce da una sala cinematografica. Può avere visto un film con John Wayne o una commedia con Tognazzi, un’opera di Franchi e Ingrassia o di Fellini: in ogni caso gli è stato detto, magari in modo comico o avventuroso, qualcosa che lo tocca da vicino, che riguarda i rapporti di proprietà, il razzismo, il modo di considerare la famiglia, la libertà, il danaro, il ruolo dell’America nel mondo, la storia del nostro paese.

Ora pensate a dei gruppi di giovani che preparino per alcuni film più importanti o di maggior successo una analisi breve e succosa in cui si dica: «Il film tale vi ha detto queste cose in questo modo; avete mai pensato che le cose potrebbero stare in questo altro modo e che il film ve le ha dette così per coprire il tale o talaltro interesse privato, oppure perché chi lo ha fatto è vittima della deformazione ideologica?».

Come capite, a organizzarsi bene, un volantino del genere può essere preparato in una città ma funzionare poi per molti mesi sino a che il film venga proiettato nel più remoto paesino. Basta tenersi in contatto e scambiarsi i volantini di controinformazione. In tal modo ogni film può diventare occasione di un discorso politico e a lavorare con metodo ogni sera si raggiungono in ogni quartiere centinaia di persone.

Se io esco da un film sugli indiani e mi trovo tra le mani un ciclostilato che parla di quel film, io lo leggo, se non altro per curiosità. E può darsi che quella sia la prima volta che imparo a vedere le storie degli indiani come un episodio del massacro imperialistico delle razze soggette. E così via.

Cosa può fare il manifesto per aiutare questo circuito? Dare qualche suggerimento e qualche traccia in occasione di film importanti? Segnalare l’esistenza di gruppi che si mettono a lavorare in questo senso e operare collegamenti?

Non so, direi che vale la pena di aspettarsi suggerimenti dai compagni.