Uscito per la collana «Voci» del Mulino, La secolarizzazione debole (pp. 108, euro 11) è un saggio breve e penetrante. Non è la prima volta che Marco Rizzi si cimenta con le grandi sfide della secolarizzazione. In dialogo con le teorie sul «post-secolarismo» e con le riflessioni dell’ultimo Peter Berger, l’autore individua un processo di ritorno delle religioni nella sfera pubblica che trova nel 1979 di Khomeyni una data di passaggio. A partire dagli anni Ottanta fenomeni di questo tipo si sarebbero riscontrati in Polonia con Solidarnosc, in Afghanistan, in Israele, nella Turchia di Erdogan, e nel mondo arabo sunnita.

ENUNCIATA nei suoi minimi termini, la tesi di fondo è che la teoria della secolarizzazione, così come è stata elaborata fin qui, funziona solo se si assume il cristianesimo a modello di riferimento di «religione». L’attuale crisi dei diversi sistemi di laicità in Occidente – la laicité, il «muro di separazione statunitense», il modello d’integrazione tedesco e il multiculturalismo inglese – dipenderebbe quindi da una sostanziale incapacità di ripensare nella loro complessità i rapporti tra religioni e politica, in particolare nei confronti di religioni che non hanno storicamente praticato una forma di dualismo (spirituale/temporale).

Rizzi invita a leggere la violenza religiosamente connotata come la scheggia di un problema complessivo che riguarda «il fallimento dei processi d’integrazione e più in generale la fragilità di un assetto sociale e culturale secolarizzato che si presupponeva irreversibile». Lo studioso si concentra sui problemi posti alla laicità da un panorama sempre più multi-religioso. D’altra parte, Oliver Roy ha messo in mostra lo spirito di ribellione generazionale che caratterizza oggi la presa dello jihadismo nelle seconde generazioni e che fa della radicalizzazione un fenomeno interno alla società francese e non al mondo musulmano. Rimane centrale la questione della crisi dello Stato moderno, «riempita oggi da apparati e concetti quali il mercato apparentemente impersonale e oggettivo».

La laicità occidentale, che ha trasferito la fondazione dell’autorità dall’ambito del sacro a quello della democrazia – spiega l’autore – risulta oggi estremamente debole a confronto con altri sistemi che articolano in modo diverso (e strumentale) la relazione tra religione e legittimazione politica (dalla Cina alla Russia di Putin, alla Turchia di Erdogan). Rizzi esorta le società occidentali a desacralizzare la categoria di laicità, superando le rigidità del principio di separazione, e cercando di favorire un approccio democratico che neutralizzi dall’interno le potenzialità conflittuali delle religioni. Per superare i pericoli dell’eteronomia di matrice religiosa e le strumentalizzazioni della politica, occorrerebbe dunque ripensare i modelli di laicità dalle fondamenta per «costruire forme inclusive di autorità». Su questo punto Rizzi prende chiaramente le distanze da «una maldestra apologetica» cattolica che ha sostenuto che secolarizzazione e laicità sono prodotti diretti del cristianesimo, ma non va dimenticato anche l’utilizzo strumentale che è stato fatto in certi ambienti cattolici delle tesi di Habermas, a loro volta ambigue su molti punti.

LE LINEE GUIDA del post-secolarismo, del resto, sembrano presupporre un’etica pubblica della laicità che non tiene conto della tendenza delle religioni a occupare spazi di potere. Inoltre, se per secolarizzazione intendiamo il processo di allentamento della società dalla religione non tutti concordano sull’inversione di tendenza, almeno per quanto riguarda i dati sulla pratica religiosa degli europei. Da ultimo, occorre tenere presente, come sottolinea anche l’autore, che anche la Chiesa cattolica sta attraversando una fase storica di trasformazione con il moltiplicarsi di nuovi movimenti che rifiutano il controllo del vertice.

All’interno di questo processo di scomposizione, aggiungiamo noi, si possono identificare fenomeni di eteronomia che vanno anch’essi nella direzione di una critica radicale alla laicità e alla modernità. Alle «chiese storiche» Rizzi suggerisce di «offrire risposte articolate alle domande poste dalla fede nel mondo contemporaneo, come in una serie di cerchi concentrici». Non mancano analogie con l’analisi dell’ultimo Paolo Prodi sulla necessità di prendere atto della fine dell’«età moderna» e sulla fine dell’idea di rivoluzione. Di fronte alle sfide dei populismi politici e del nuovo totalitarismo economico anche il «lungo Novecento» delle chiese sembra ormai alle spalle.