Il conto alla rovescia sta per esaurirsi ma il capo dello Stato ancora non ha messo a punto la fisionomia della proposta che, salvo novità sorprendenti, avanzerà mercoledì prossimo. Ma al Quirinale regna ben poco ottimismo. La situazione resta paralizzata dai veti incrociati. Le chances che il voto di fiducia della maggioranza dei parlamentari sostenga il governo che Sergio Mattarella proporrà sono ridottissime. Anche ieri sia esponenti della Lega che del Movimento 5 Stelle, ma anche di Leu, hanno confermato la piena indisponibilità a sostenere governi tecnici. Resta la speranza che M5S e Lega, all’ultimo momento, scelgano di far passare quel governo astenendosi. Ma è una speranza ben lontana dalla certezza.

DOMANI, DOPO le consultazioni lampo che si svolgeranno tutte in giornata, Mattarella parlerà, chiarirà lo stato delle cose, annuncerà la sua decisione. Ma perché questa si traduca in un nome e in un incarico formale, perché la fisionomia del governo che Mattarella proporrà al Paese venga tratteggiata e definita, bisognerà aspettare probabilmente ancora un giorno.

Al momento, quel nome ancora non c’è. Al capo dello Stato sarebbe piaciuto incaricare una donna ma non è riuscito a individuare una figura adeguata e disposta a mettersi in gioco per un premierato destinato a durare pochi mesi. In ogni caso, assicurano sul Colle, si tratterà di una figura «inappuntabile». Qualcuno che renda difficile, per i partiti pronti a bocciarlo, spiegare la propria scelta. Ma anche qualcuno che, pur non raggiungendo la maggioranza, possa calamitare quanti più voti possibile. Dunque se, come si direbbe alla vigilia, il pollice verso dei 5S apparirà più tassativo e ferreo di quello leghista, la scelta cadrà su un tecnico di rilievo che possa risultare più gradito al Carroccio. E viceversa.
Formalmente sarà poi il presidente del consiglio incaricato a scegliere i ministri anche se è certo che il Quirinale non resterà a guardare in silenzio. Saranno scelti anche loro sulla base dei medesimi criteri che orienteranno l’assegnazione dell’incarico.

TUTTAVIA SUL COLLE non viene ancora data per definitivamente chiusa la strada indicata venerdì da Matteo Salvini, quella di un governo a tempo, con data di scadenza ben marcata, però politico e non tecnico. Ieri il 5 Stelle Vito Crimi ha bollato quella proposta come «tardiva» ma senza chiudere ogni spiraglio: «Valuteremo. Da Salvini vogliamo fatti». Ieri, a parte Crimi, sia per i 5S che per i leghisti, è stata in vigore la regola del silenzio. Pare però che Luigi Di Maio e Matteo Salvini si siano sentiti e che Di Maio abbia ripetuto le proprie condizioni anche per dar vita a un governo a termine però politico, sostenuto dal suo partito e dal Carroccio. Si sarebbe detto pronto a non guidarlo, in cambio di un identico passo indietro sia di Salvini che del capogruppo leghista Giancarlo Giorgetti. Però, come al solito, solo se Silvio Berlusconi non è della partita.

Il leader del Carroccio e quello azzurro faranno il punto oggi. E’ escluso che il leghista laceri la coalizione per dar vita a un governo senza futuro e neppure presieduto da lui. Potrebbe forse accettare di fare il momentaneo passo indietro Berlusconi, che con Matteo Renzi è il leader che più teme le elezioni. Il rischio però sarebbe enorme. Si creerebbe un precedente pericolosissimo per Fi, tanto più che i rapporti tra i due principali alleati del centrodestra sono di nuovo vicini al minimo storico e Arcore sospetta Salvini di essere in fondo molto più vicino al nemico pentastellato che all’alleato azzurro.

DUNQUE MATTARELLA si prepara a inviare di fronte alle camere un suo presidente sapendo che quel candidato sarà quasi certamente affondato in aula. Ma la preoccupazione che si taglia con l’accetta sul Colle non si appunta tanto su quel voto quanto sulle conseguenze, che si manifesteranno solo in autunno formando una tipica tempesta perfetta. Varare una vera legge di bilancio sarà impossibile: si tratterà di fatto di un esercizio provvisorio camuffato. Sterilizzare l’aumento dell’Iva sarà un terno al lotto, e comunque lo si potrà fare solo in deficit, Europa permettendo. Le nuove elezioni, con la stessa legge elettorale, potrebbero facilmente dare un responso simile a quello di marzo, in una condizione però ben più sfibrata e con i mercati in ebollizione.

Lo stesso capo dello Stato, colpito pur se non affondato da un voto di fiducia negato al “suo” governo, dovrebbe affrontare la tempesta in condizioni di maggiore debolezza e minore credibilità internazionale. Si può capire che questo, per Sergio Mattarella, non sia il migliore tra i week-end.