Sul palco sono in otto, un equilibrio di timbri che mette in conto una componente più “africana” e jazz, con due percussionisti, un quintetto d’archi, compreso il contrabbasso del leader, e, solista principale, voce a volte nel collettivo, spesso puro lacerto di individualità un clarinettista. E’ contemporaneamente un notevole nuovo cd appena pubblicato da BlueArt e uno spettacolo bello e impegnativo Italian Life in Contemporary Time, sottotitolo “Alla ricerca dell’Italia dalla terra al cielo”.

Presentato in prima nazionale al Teatro della Tosse di Genova, la versione in cd, il quinto a proprio nome per Massimiliano Rolff, vede la presenza di Gabriele Mirabassi, una delle voci più intense e presenti del jazz italiano curioso delle altre musiche. Sul palco c’è invece Stefano Guazzo, un gran musicista, comunque, che dalla sua ha anche certe pieghe amare e disilluse nel suono che Mirabassi non ha. Bene che ci siano, perché la “vita italiana nella contemporaneità” è uno spettacolo e una riflessione che mette in conto inevitabilmente anche frizioni e disarmonie, punti dove il vivere sociale si ingrippa e gira a vuoto.

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Certo, si rischia la mera banalità a dire che chiunque tenti una riflessione, una mappatura in tempo reale dello Stivale geografico delle contraddizioni, trova comunque un caotico e poco ragionato affastellarsi di immagini: ma così ha voluto Rolff nel concepire questo spettacolo e la musica che ne ordisce la trama. Con una novantina circa di fotografi che hanno offerto centinaia di immagini che ruotano in continuazione in controcanto alla musica. Spesso per una sola frazione di secondo, il tempo per intuire il pennacchio di un carabiniere, la maschera di Anonymous, una coppia gay in piazza alla ricerca di diritti, un cielo striato da nuvole minacciose, un molo battuto dai flutti.

Lavoro affidato e coordinato, per la parte visuale, a Roberto Merani e Fabio Niccolini, con contributi verbali sullo schermo del poeta Guido Caserza, e il tutto work in progress: perché una scritta sullo schermo avvisa che il tutto è in divenire, e si accetteranno ulteriori contributi iconografici a supporto del viaggio in Italia, purché, testualmente, caratterizzati da “neutralità e realismo”. Come succede nei movimenti coreutici di Olivia Giovannini, sul palco: a un certo punto è una sorta di ossessiva coazione a ripetere segno della croce, pugno chiuso, segno della forchetta che infilza spaghetti, saluto romano: sorta di biografia per gesti, stavolta, di un Paese bloccato.

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La partitura in sette quadri di Rolff rifugge quasi ogni riferimento meramente jazzistico, prendendo invece linfa dal minimalismo di Glass e di Mertens, da certe rare pagine dolorose e scettiche della gloriosa Penguin Cafe orchestra, dalla ambient music usata più come elemento straniante che come tappezzeria sonora. E poi fluttuano brandelli di tango, ricordi di profili melodici mediorientali, ostinati ritmici incatenati e destinati a svanire nella leggerezza, magari accostati al crudo pizzicato degli archi. In fin dei conti, è fatta di cocci, la “Italian Life” contemporanea. Guido Festinese