Stiamo qui ma vorremmo essere altrove. Non importa che il posto in cui staremmo sia noto o ignoto. Ciò che conta è stare in un altro luogo. Abbiamo passato lunghi anni, non solo giovanili, con la smania di ritrovarci altrove. Ma ci assaliva l’indecisione, il tarlo del dubbio, a frenarci. Temporeggiando nella scelta del luogo alternativo a quello in cui stavamo e dal quale volevamo allontanarci, si rinunciava ad andare, non ci spostavamo in nessun’altra parte, continuando a restare dove rifiutavamo di stare. L’irrequietezza, che si riproduceva ogni volta identica, ci bloccava al punto di partenza, senza via d’uscita: un circolo vizioso che inevitabile e puntuale si subiva, punto. In fondo, un luogo valeva l’altro, perché l’altrove era la meta di un proposito irrealizzabile: nel momento che l’avremmo raggiunto, superando finalmente il tentennamento, sarebbe scattata la frenesia di lasciarlo per raggiungere ancora un altrove. Dunque cercavamo un luogo che non c’era, inaccessibile perché irreale, che però avevamo idealizzato così da renderlo effettivo nella nostra coscienza. L’altrove, a sentire coloro che erano stati via, l’avevamo fantasticato come un luogo di molteplici occasioni, di possibilità irripetibili da cogliere al volo; ce l’avevano descritto con strade eleganti, piene di luci, fiancheggiate da vetrine sfavillanti che mostravano oggetti desiderabili e pur trattabili. L’altrove, ci era stato detto, sarebbe risultato più invitante rispetto al luogo in cui stavamo. Ma, per la verità, questi racconti, la cui attrattiva ci giungeva probabilmente amplificata, non c’incantavano, ci scivolavano anzi: non avevamo mai badato al traguardo di una condizione migliorativa di vita; ma solo a un mutamento, e basta, del luogo, dell’ambiente abituale, assetati, questo sì, del nuovo, del non visto, della voglia prorompente di novità sempre pronti a scambiarla con il già conosciuto. Ci angosciava il pensiero, se mai, che potesse accadere un fatto inedito, un qualcosa d’insolito, in un altro posto, mentre noi, restando dove stavamo, non avremmo potuto parteciparvi, o quanto meno testimoniare quell’accadimento. E il nostro affanno, a dirla tutta, di ritrovarci altrove, si estendeva alle persone, anche a quelle vicine, all’eventualità di sostituire legami, che presto ci venivano a stancare, allacciandone altri con soggetti conosciuti per caso e che comunque avremmo perduto. In tal modo i rapporti non avrebbero avuto tempo di fortificarsi, e restando galleggianti si sarebbe evitato che logorassero, come sempre accade, e lasciassero incomprensioni o risentimenti reciproci. Quell’altrove che si cercava non l’abbiamo mai trovato. Ma capita di attardarci sulla strada, ancora.