«Il candidato dei moderati per il Colle sarà l’ex ministro Antonio Martino», annuncia Silvio Berlusconi. Solo che non è affatto detto che sia così. Il diretto interessato non ne sa niente. «Mi pare uno scherzo da prete», dichiara. E Angelino Alfano, fresco di secondo incontro con Berlusconi in tre giorni, stavolta al Senato, garantisce sì che «presenteremo un candidato unitario», ma aggiunge che «non ci sarà un candidato di bandiera», mentre Martino solo quello può essere. Il mistero si svela quando da Forza Italia chiariscono che Martino sarà in campo solo se il Pd presenterà un suo candidato di bandiera, altrimenti il centrodestra riunificato voterà scheda bianca nelle prime votazioni.

Ma questi sono particolari. Nello scambio di segnali politici che prepara la strada alla corsa finale per la successione a Giorgio Napolitano l’importante non era spiattellare una candidatura ma dimostrare che stavolta dal centrodestra marceranno davvero in sintonia. Ora sta a Matteo Renzi trovare un nome e proporlo a Berlusconi nell’incontro di martedì prossimo. Il giro finale inizierà solo allora ed è inutile perdere troppo tempo a rigirare la solita rosa di papabili: Amato, Mattarella, Grasso, Casini, Veltroni, più probabili sorprese dell’ultimo momento. In realtà l’intenzione è quella di chiudere l’accordo con Renzi martedì e puntare da subito (anche se non necessariamente nelle prime tre votazioni) su un candidato comune. Che secondo il leghista Roberto Calderoli sarebbe addirittura già stato deciso da Renzi e Berlusconi nel vertice di martedì scorso: «Lo hanno già trovato, anche se il nome non lo so».
La nomina del successore di Napolitano coronerebbe così l’operazione politica che si è snodata negli ultimi tre giorni e che ha rimodellato da capo a piedi la mappa della politica italiana: l’ingresso di Forza Italia nella maggioranza, sia pur non dichiarato, e la riappacificazione tra i partiti dell’area Ppe, Forza Italia e Area popolare. E’ questa la nuova geografia politica italiana che Renzi, Berlusconi e Alfano hanno ridisegnato e che verrà testata dalla prova del Quirinale: potrebbe uscirne confermata, ma anche demolita.

«Abbiamo parlato solo dell’elezione del presidente», assicura il ministro degli Interni uscendo dal vertice di palazzo Madama con il capo azzurro e l’Udc Lorenzo Cesa. Magari è anche vero, ma solo perché non c’è bisogno di sprecare parole per confermare un’intesa che il condannatissimo e il suo ex delfino hanno già siglato e che del resto è nell’ordine delle cose. Fi e l’Area popolare (Ncd e Udc) marciano spediti verso la riunificazione. Per le prossime elezioni ogni antico dissapore sarà stato dimenticato.

Per il momento, tuttavia, Forza Italia continuerà a fingere di stare all’opposizione. Nessuno dei due soci del Nazareno è in grado, ora come ora, di reggere di fronte al proprio elettorato un ingresso ufficiale degli azzurri nella maggioranza. Del resto non ce n’è bisogno. Le cose sono già chiarissime per tutti: Forza Italia è a pieno titolo parte della maggioranza, la riunificazione con Ncd e Udc è decisa. Lo ammette tra le righe lo stesso Alfano: «Certo, la posizione comune sulle riforme ha un grande significato». Si tratta solo di prendere in giro per un altro po’ di tempo gli elettori fingendosi divisi e raccontando che gli uni stanno al governo e gli altri all’opposizione. Se e quando si renderà necessario svelare anche ufficialmente l’intesa bisognerà inventarsi un colpo di teatro per giustificarlo, magari una diminuzione delle tasse o qualche altro alibi. Ma ogni cosa a suo tempo.

A unire Renzi, Berlusconi e Angelino è il cemento più efficace che si trovi in politica: l’interesse comune e di conseguenza una strategia condivisa. La nuova mappa della politica italiana che hanno in mente prevede infatti la creazione di quattro poli distinti: due principali, in competizione per il premio di maggioranza, e due periferici, le famose «ali estreme». I due blocchi forti sono una «Lista Renzi» (che i buontemponi e gli illusi possono anche continuare a chiamare Pd anche se trattasi di tutt’altro) e una «Lista Berlusconi», che dovrebbe radunare tutte le componenti che si rifanno al Ppe. A sinistra Sel più i futuri fuoriusciti dal Pd, il cui esodo Renzi ha già messo in conto. A destra la Lega, Fratelli d’Italia e i dissidenti azzurri di Raffaele Fitto. Per la prima volta in quindici anni Berlusconi si è infatti rassegnato a una rottura definitiva con il Carroccio e dà già per consumato anche l’addio del leader pugliese. Ancora più che nel Pd è nel centrodestra che lo scontro di questi giorni ha già determinato lo tsunami.