Francesco Ceraudo è stato per quasi 40 anni direttore del centro clinico Don Bosco nel carcere di Pisa. È uscito da poco un libro in cui racconta la sua esperienza: Uomini come bestie. Il medico degli ultimi, con prefazione di Adriano Sofri (Ets, pp. 310). Un capitolo centrale è dedicato alla sua testimonianza sulla strage di Bologna.

Lei cercò di non testimoniare al processo per la strage. Perché?

Avevo paura. Un’amica che lavorava nell’ufficio del pm Giovagnoli mi aveva avvertito: girava voce che sarei saltato in aria con la macchina. Per tre volte non mi sono presentato in aula. Poi arrivarono a prendermi 4 carabinieri…

Quando testimoniò conosceva già Francesca Mambro?

Sì. Era stata ferita in una sparatoria con le forze dell’ordine. Rimase ricoverata per mesi. Si instaurò un proficuo rapporto medico-paziente. Mi convinsi che per Bologna fosse innocente. Confessava crimini gravi ma ripeteva che con quell’attentato non c’entrava. Da mille segnali che si strutturano in queste relazioni le credetti. Ma le mie certezze non contano: al processo raccontai solo i fatti caduti sotto la mia diretta attenzione.

Vogliamo ricapitolarli?

È semplice: il certificato medico che permise la scarcerazione di Massimo Sparti, unico testimone a carico dei Nar per la strage, era totalmente falso.

Riassumiamo la vicenda…

Nel dicembre 1981 Sparti arrivò al centro clinico di Pisa. Stava subendo un fortissimo dimagrimento. Fu sottoposto a check up completo, inclusi tutti i marker tumorali. Dissi al giudice istruttore che la sua condizione era compatibile con la detenzione. Nel gennaio 1982 ci fu lo scandalo della corruzione al carcere don Bosco, che racconto nel mio libro. Il direttore, ritenendo che fossi stato io a farlo scoppiare, mi dismise da Dirigente Sanitario e al mio posto si insediò il dott. Biagini.

Ritiene che questo trasferimento fosse collegato alla sua diagnosi su Sparti?

No. Fui trasferito perché al don Bosco tutto era in vendita, a partire dai posti letto, e io dovetti segnalare la cosa per non essere complice. La mia ingenuità fu parlarne col direttore mentre a orchestrare tutto era proprio lui.

Cosa successe dopo il suo trasferimento?

Biagini mi disse che aveva mandato Sparti a fare una Tac presso l’Istituto di Radiologia e lì era stato diagnosticato un adenocarcinoma che aveva invaso tutto il pancreas. Due o tre mesi di vita. Non riuscivo a darmi una spiegazione plausibile. Chiesi su quale base avesse deciso la Tac.

Cosa rispose?

Fu evasivo. Dopo un po’ io fui reintegrato con tutti gli onori. Andai a controllare la cartella di Sparti e con somma sorpresa scoprii che si parlava di carcinoma gastrico e non di adenocarcinoma del pancreas. Il referto era firmato dal radiologo del carcere, prof. Michelassi, di cui si diceva che fosse iscritto alla P2. All’Istituto di Radiologia un medico amico mi disse che circolava la voce di uno scambio di referti: nella cartella di Sparti erano stati inseriti quelli di un altro paziente. Comunque i fatti parlano da soli. Sparti fu scarcerato. Testimoniò accusando Fioravanti e Mambro. Sopravvisse per 23 anni e morì di tutt’altra malattia.

Lo scambio non potrebbe essersi verificato indipendentemente dalla testimonianza?

A me sembra evidente che la scarcerazione sia stata il prezzo della testimonianza contro i Nar, anche perché questo confessò Sparti al figlio. Ma non sta a me interpretare.

I giudici non le credettero. Perché?

Mi definirono inattendibile e la cosa mi fece piacere: non rischiavo attentati. Non mi perseguirono, però, per falsa testimonianza! Credo che si fossero innamorati di una tesi e posso capire la sete di giustizia dei parenti delle vittime. Ma se si condannano innocenti non è giustizia.

Perché «inattendibile»? Come lo giustificarono?

Dissero che provavo rancore nei confronti di Biagini e del direttore, cosa che ancora mi offende sul piano professionale e su quello etico. Tanto più che a riparare al torto ci aveva già pensato la giustizia, condannando a 10 anni il direttore.

Dopo di allora è più stato ascoltato nei vari processi per la strage di Bologna?

Mai. Ma ora mi hanno preannunciato che verrò ascoltato nel processo in corso contro Cavallini e dirò di nuovo l’unica verità di cui sono in possesso.