«Un’occasione storica», «una svolta», «una ripartenza». Il giorno dopo l’annuncio televisivo di Silvio Berlusconi – l’atteso, da almeno un paio d’anni, ritorno a Forza Italia questa volta si farà -, parlamentari e dirigenti del Pdl riempiono di entusiasmo le scarne cronache politiche del sabato. Eppure è difficile presentare il recupero dell’usato sicuro come una novità. Il Cavaliere, che dopo l’estate aspetta il suo 77esimo compleanno e almeno un paio di passaggi giudiziari decisivi, non vede via d’uscita verso il futuro diversa dalla porta d’ingresso. Può funzionare e in fondo cambierà poco finché le sigle di partito resteranno solo una scritta bianca sotto il suo volto ben conservato. Ma certo più che di ripartenza bisognerebbe parlare di retromarcia, più che di svolta di inversione a U; e se di occasione storica si tratta è quella di una storia già passata venti anni fa.

Il Popolo della libertà, ha garantito venerdì sera in tv Berlusconi e hanno sviluppato ieri diversi berlusconiani, tra i quali colui che ufficialmente del Pdl è il segretario, non sparirà. Resterà come sigla della coalizione destinata a raccogliere gli alleati del centrodestra. Che come si sa non sono mai stati pochi, nel 2001 la caccia alle piccole liste da inserire nel gruppo si fermò solo raggiunta quota tredici. Il modello insomma tornerebbe a essere quello della Casa delle libertà, scaricato nella famosa serata del 18 novembre 2007 quando in piedi sul montante dell’autoblu – da allora chiamato «predellino» – Berlusconi annunciò la nascita del Pdl. Passato alla storia come un «discorso» (in realtà si trattava anche in quel caso di un’intervista alle telecamere) quel celebre sermone conteneva, adesso si può dire, almeno una previsione sbagliata. «Questa nuova creatura – disse il Cavaliere – sarà la protagonista della libertà e della democrazia nei prossimi decenni». Invece si torna indietro. Il tricolore si riprende lo spazio dello scudo bianco e blu. E viene da pensare che il 2014 sarà un altro anno dei mondiali. Si tornerà a tifare Italia di nuovo in (sud)America, come nel 1994. Allora c’erano le elezioni, le prime e vincenti per Berlusconi che evidentemente pensa che ci saranno ancora. Di certo quelle europee.

La Casa delle libertà, allora. Le foto traslucide dell’epoca, accanto a un Berlusconi con qualche capello in meno, restituiscono la memoria di tre alleati ormai lontani. Fini, Casini, Bossi… Berlusconi è rimasto solo e la compagnia con la quale adesso immagina di riempire la nuova coalizione è quella dei berlusconiani residui. Cioè ancora del suo giro diversamente nominato: qualche stagionato dirigente che non brilla per iniziativa lo ha capito e si sta muovendo per recuperare la sigla di Alleanza nazionale (nel nome, beata innovazione, di Almirante). E così il nuovo Pdl già Cdl non sarà l’occasione per fare ordine nel centrodestra italiano. Perché le falangi berlusconiane resteranno comunque e sempre sotto lo stesso tetto del Cavaliere, dentro Forza Italia. È in quella voliera che continueranno a beccarsi falchi e colombe, ministri del governo Letta e plenipotenziari del partito proponenti la crisi.

E non è detto che questi ultimi non siano presto accontentati, sebbene nelle sue ultime uscite il Cavaliere abbia piuttosto rassicurato palazzo Chigi e il Quirinale. La finestra per evitare a Berlusconi il rischio di trovarsi fuori dal parlamento quando la Cassazione potrebbe decidere sulla sua interdizione quinquennale è però assai vicina, l’imputato al massimo può rischiare le urne a febbraio. Difficile ma non impossibile, considerando che dall’altra parte c’è chi ha cominciato a giocare sul serio con lo stesso obiettivo. È Matteo Renzi che ha mandato a Letta e al Pd un messaggio da Francoforte (intervista alla Faz). Il prossimo segretario del Pd, eletto con le primarie – ha detto – dev’essere anche il candidato premier. Fosse così entro la fine dell’anno il vincitore sarebbe già in campagna elettorale. Purtroppo per Letta che, dice il sindaco di Firenze, «è un amico, ma i piccoli passi non bastano».