Le prime crepe nel sistema dopo i risultati delle elezioni europee cominciano ad aprirsi. Per primo ha gettato la spugna il segretario del Psoe Alfredo Pérez Rubalcaba e addirittura ha accettato che a votare il suo successore siano tutti gli iscritti del partito – una novità storica. Ora è il capo di stato spagnolo, il monarca Juan Carlos I di Borbone, a decidere di abdicare, con una mossa che ha spiazzato persino i repubblicani più accesi.

Ieri la notizia è esplosa come una bomba dopo che il premier Mariano Rajoy ha annunciato che il re abdicava in favore del figlio, il futuro re Felipe VI di Spagna. 

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Dopo 39 anni di regno, sono in molti a vedere in questa storica decisione l’unica possibilità per la monarchia, lambita da scandali e rivelazioni sempre più imbarazzanti, di salvarsi dalla caduta a picco di credibilità registrata da tutte le istituzioni spagnole. Anche se il re aveva sempre negato di aver persino preso in considerazione questa possibilità.

La posizione ufficiale, che lo stesso monarca ha spiegato ieri a mezzogiorno in un messaggio televisivo registrato, è che la decisione in realtà è stata presa a gennaio, il giorno del suo 76imo compleanno e comunicata al capo del governo, Rajoy, e dell’opposizione, Rubalcaba, due mesi fa. Ma il tempismo dell’annuncio fa sorgere qualche dubbio su questa versione dei fatti. Con il risultato paradossale di far sembrare proprio il re quello attento e solerte nel rispondere al disagio sempre più evidente dei cittadini, alla richiesta di un cambio di passo espressa dai risultati delle elezioni di una settimana fa.

La mossa a sorpresa di Juan Carlos ha fatto scattare immediatamente la reazione dei formalmente pochi repubblicani dichiarati fra i partiti politici. Se il partito popolare e il partito socialista, in compagnia di quasi tutta la stampa nazionale, si sperticano in lodi per il monarca uscente, senza ricordare le ombre del lunghissimo regno di un capo di stato deciso dal dittatore Francisco Franco in persona, i tre partiti vincitori morali delle elezioni del 25 maggio scorso – Izquierda Unida, Podemos e gli ecologisti di Equo – hanno chiesto immediatamente un referendum sulla futura forma di stato. Il fatto è che, paradossalmente, il re – Costituzione spagnola alla mano – non può abdicare. O meglio, può farlo ma, stando all’articolo 57, questa circostanza deve essere regolata da una «legge organica» (ossia costituzionale) di cui a oggi la Spagna è priva.

E infatti oggi il governo presenterà un disegno di legge urgente che regoli la materia che, con tutta probabilità, verrà approvato in tempi record grazie alla maggioranza assoluta di cui dispone il Partito popolare e con l’appoggio – così pare – dell’ancora principale partito d’opposizione, il Psoe. Anche se, a dimostrazione che il partito è alle soglie di un doloroso congresso, la Gioventù socialista e alcuni esponenti della corrente più di sinistra hanno fatto sapere di essere anche loro favorevoli a un referendum.

La legge potrebbe anche stabilire quale sarà lo status dell’ex re – una questione non indifferente, dato che decadrebbe la sua «irresponsabilità» giuridica e «inviolabilità». Oggi la riunione dei capigruppo alle 17 dovrà intanto decidere i prossimi passi parlamentari e la data del giuramento di Felipe. Equo ha già presentato una richiesta di referendum in parlamento e Izquierda Unida, con gli altri partiti repubblicani, già promettono battaglia – in parlamento e per le strade.

Un assaggio si è potuto vedere ieri sera in occasione delle manifestazioni convocate alle otto in cento città spagnole per reclamare la III Repubblica mentre sui balconi venivano issate bandiere repubblicane (a tre bande orizzontali rossa, gialla e viola).

«I risultati elettorali mostravano lo sfinimento del sistema politico spagnolo – ci dice Pablo Iglesias, leader di Podemos – del suo consenso, della sua cultura politica e dei suoi principali attori». Se il re nel suo messaggio alla nazione sostiene che suo figlio Filippo «incarna la stabilità» – Iglesias dice che «la stabilità si costruisce rinnovando la fiducia attraverso il pluralismo». «Il Psoe – conclude – deve stare con la democrazia e non può prestarsi a questa farsa che cerca di evitare che si esprima lo volontà popolare. Non hanno capito nulla del messaggio di domenica, della richiesta di più democrazia, più trasparenza e più rendimento di conti».

Alberto Garzón, deputato di Izquierda Unida e autore di un libro opportunamente in uscita proprio oggi, La terza repubblica, attraverso il suo attivissimo account di Twitter, oltre a chiedere un referendum e un processo costituente, afferma che «La terza repubblica è una opportunità per un progetto di paese nuovo, di politica nobile e trasparente e di un’economia al servizio delle persone».

I fan della casa reale sottolineano che rispetto al suo predecessore, Filippo è molto più preparato e indubbiamente gode di migliore stampa – anche se c’è da dire che la stampa iberica difficilmente lascia trasparire critiche al capo di stato. Fra chi gli augura buona fortuna e buon lavoro anche il presidente della Generalitat catalana Artur Mas che non perde l’occasione per chiedere al futuro re che la Catalogna «possa decidere liberamente e democraticamente il proprio futuro come nazione». Il referendum catalano sarà una delle principali gatte da pelare per il prossimo capo di stato nei prossimi mesi, soprattutto se – come tutto lascia credere – non si vorrà toccare neppure una virgola della costituzione vigente.

Come ha scritto il giornalista del eldiario.es Isaac Rosa, «inizia ora la seconda Transizione». La Spagna potrebbe sorprenderci ancora.