Dal 1984 al 1990 ho trascorso sei anni alla scuola media Numero 80 di Pechino, in via Zhongfang nel quartiere di Baijiazhuang. In questi anni mi sono formato e ho costruito la mia visione del mondo e della vita.

La parte nord ovest di via Zhongfang era molto piccola, solo dopo sarebbe diventata la famosa Sanlitun.

A metà degli anni Ottanta, Sanlitun era formata da anonimi palazzi in mattoni rossi, a sei piani. Era simile a tutti gli altri quartieri di Pechino e a quelli di qualsiasi altra città cinese costruita dopo il ’49, ma molto vicina a tutte le ambasciate straniere. C’era anche un grande spazio verde, una scultura imponente, pioppi, salici e sofore, niente di straordinario.

A quel tempo, la Scuola Media Numero Quattro di Chaoyang era l’unica scuola centrale del quartiere. Dal punto di vista antropologico era incredibile, era popolata da una grande varietà di specie. Ne sono usciti talenti improbabili come campioni di volano, starlette dal fine ingegno, telecronisti che hanno dato un contributo rilevante allo sviluppo della lingua cinese e che non hanno mai toccato droghe, quadri di partito della CCTV 5 e via dicendo.

Quando ero alle scuole medie, anche loro erano adolescenti: erano sportivi, campioni di scrittura delle gare scolastiche di quartiere, speaker amatoriali della radio e sottosegretari della Lega giovanile della scuola.

Nella seconda metà degli anni Ottanta, via Zhongfang e Sanlitun erano collocate fra il primo e il secondo quartiere delle ambasciate e anche se non c’erano bar, era già una zona dal gusto abbastanza occidentale.

Mi sono chiesto se Sanlitun e Sanyuanli avessero qualcosa in comune. La risposta che mi sono dato è che entrambi i quartieri hanno a che fare con gli stranieri: a Sanyuanli abbiamo resistito contro truppe inglesi e forse, un giorno, a Sanlitun dovremo resistere agli americani. I futuri studenti di storia, grazie alla somiglianza dei nomi di questi due luoghi, li ricorderanno più facilmente.

Un terzo dei miei compagni di scuola erano figli di persone che lavoravano al Ministero degli Affari Esteri, un altro terzo al Ministero dell’Industria Manifatturiera. Tutti vivevano nelle zone di Sanlitun e di via Zhongfang.

I figli di chi lavorava al Ministero degli Esteri portavano a scuola cose che in Cina non si erano mai viste: gomme per l’inchiostro, biciclette a sedici o diciotto marce e calcolatrici della Casio.

Quando gli chiedevo cosa facessero i loro parenti all’estero, la risposta tipica era: Mio padre è l’Attaché in un paese nordeuropeo, scia e legge i giornali locali. Questi ragazzi vivevano tutto l’anno da soli, all’interno di enormi case a Sanlitun. Nella migliore delle ipotesi i nonni, ciechi e sordi, si prendevano cura di loro come fossero esseri lasciati sulla Terra dagli alieni.

Quando ancora esisteva il Ministero dell’Industria Manifatturiera, l’industria tessile era quella che guadagnava più valuta straniera grazie all’esportazione. I loro figli si riconoscevano dai vestiti. Indossavano scarpe originali della Nike e della Puma, tutti modelli che all’epoca non si trovavano neanche negozi di sport di Wangfujing.

Un paio di Nike costava almeno cento yuan ed io con soli otto yuan e mezzo mi assicuravo il pranzo alla mensa della scuola per un mese: pesce, carne, verdura, riso in brodo e zuppa di verdure. Portavano anche giacche impermeabili, caldi e frivoli maglioni di cachemire e cataloghi di biancheria intima occidentale con immagini di modelle mezze nude. Ricordo che nei giorni di pioggia, non erano bagnati fradici e durante l’inverno non erano coperti da strati su strati di maglioni. Mi ero fatto un’idea, erano divinità che vestivano sontuosi abiti da passeggio.

Io facevo parte del rimanente terzo: non ero figlio di persone del Ministero degli Esteri né di chi lavorava nell’industria manifatturiera.

All’epoca ero confuso, non capivo la differenza tra una radio cara ed una economica. Mi bastava che ne uscisse un suono o una nuova idea in inglese. Sembrava non capissi che anche tra le persone c’erano delle differenze, bastava avessero gambe lunghe, seni grandi e peli.

[…] Quello che mi è rimasto impresso da bambino si è radicato dentro di me. Oggi ancora non distinguo chiaramente la differenza tra un impianto Edifier e delle casse B&W e continuo a non comprendere che c’è differenza tra le persone.

La mia generazione possiede una ricchezza spirituale enorme che gli altri non hanno. Quando eravamo piccoli, non c’era una Sanlitun come la intendiamo adesso. Noi abbiamo sofferto la povertà senza averla veramente sentita e quando siamo cresciuti non abbiamo provato odio verso la società. Siamo sempre stati per una vita semplice e dura. Siamo stati poveri e non abbiamo paura.