Si arriva in volo sul territorio polacco scrutando dall’alto le tracce dei confini tanto sanguinosi nei secoli, la terra della grande promessa, dei laghi Masuri del coltello nell’acqua, dei boschi di betulle. La meta è il festival di Gdynia (17-22 settembre), il festival del cinema polacco dei film di finzione che si tiene da 43 edizioni. In realtà fino al 1980 si è tenuto a Danzica, poi le grandi manifestazioni di Solidarnosc e lo stato di guerra hanno determinato lo spostamento definitivo a Gdynia. Siamo sul mar Baltico: Gdynia di recente costruzione (1921, con edifici ispirati a Le Corbusier), Sopot la località turistica frequentata da Greta Garbo, Dietrich, Hitler e Castro e l’antica autorevole «città libera» Danzica, formano un unico agglomerato lungo la costa chiamato «Le tre città»
In questo periodo la Polonia è un interessante luogo da osservare per capire lo stato delle cose in Europa, il nazionalismo rampante e la sua cinematografia è sempre riuscita a trasmettere sottili intuizioni e premonizioni, così abbiamo accettato volentieri l’invito dell’istituto di cultura polacca tramite il ministero degli esteri polacco a compiere questo «viaggio di studio».
Il festival è stato simbolicamente inaugurato da Masterclass, animazione di sei minuti dedicati ai film di Polanski, alle sue cadute e al suo rinnovato rinascere, un segno del forte legame del regista nei confronti del suo paese ma anche dell’attenzione della nuova generazione nei suoi confronti. Tante le possibilità di rivedere i grandi classici, come gli apettacolari film di Wajda e Munk o Deep End, (La ragazza del bagno pubblico) senza tagli di Skolimoski, a cui quest’anno è stato consegnato il premio alla carriera. Così come i film degli studenti delle tante scuole di cinema che affollano le sale insieme ai cineasti e agli «intellettuali» presi di mira dai populisti. Sedici film sono stati resentati nella sezione ufficiale scelti dai circa quaranta che si produzono ogni anno.
CATTOLICI
la fila più inattesa e straripante è quella per accedere alla proiezione del film scandalo di quest’anno Kler (Clero) di Wojciech Smarkowski. In un paese dominato dalla chiesa cattolica ha fatto scalpore vedere l’antitesi del Dekalog. Dove Kieslowski metteva il pubblico di fronte ai grandi temi morali, alla intima comprensione dei dieci comandamenti, qui con un ribaltamento azzardato si mostra una serie di preti peccatori, una girandola da commedia un po’ boccaccesca che fa venire in mente un film albanese dichiaratamente antitaliano del dopoguerra dove un grosso frate beone e insaziabile non si faceva mancare nulla. Si possono enumerare proprio come in un decalogo al contrario, pedofilia, simonia, bestemmia, corruzione, tradimento del celibato, fornicazione, spionaggio, alcolismo, menzogna, suicidio. In Kler Non c’è proprio l’ombra del tipico linguaggio metaforico del tradizionale cinema polacco, pur senza mancare di ironia, si direbbe piuttosto il desiderio di creare un caso, una trasgressione impensabile.
In un piccolo paese sono raggruppate tutte le possibili nefandezze anticlericali, compiute dai più umili esponenti alle alte sfere, un macchinoso oggetto che non manca di avere un effetto liberatorio nel cattolicissimo paese e sicuramente avrà grande successo in sala tra pochi giorni, con giganteschi manifesti che rivaleggiano con quelli dedicati a papa Wijtila. Intanto Kler tra infinite ovazioni ha ricevuto il premio del pubblico ed è stato al centro di ogni discussione.
NEONAZISTI
Il grande potere della chiesa affianca la deriva politica di destra di cui la chiusura blindata delle frontiere è solo un aspetto (ma si dice saranno accolti con piacere filippini e vietnamiti non appena terminerà il flusso di monodopera a basso costo dall’Ucraina). È interessante vedere quali sono gli elementi messi in luce dai film in una cimenatografia che anche nei periodi di maggior controllo politico ha saputo parlare al suo pubblico, ma nel programma di quest’anno sono veramente rari i riferimenti alla situazione contemporanea con film concentrati perlopiù sulla grande storia, sull’individuazione dei confini del paese e sulle piccole vicende familiari. Forse proprio in questo ambito la grande quantità di madri indigenti, inferme, o morenti, personaggio che ricorre in più di un film può essere indicativo dello stato generale, dove la madre è simbolo stesso del paese. Si tratterebbe più di un’allusione politica che economica visto che nel secondo trimestre 2018 si segnala una crescita del 5,1%. Ci porta direttamente in strada Once upon time in november (Pewnego razu w listopadzie) di Andrzej Jakimowski (autore di Tricks del 2007 cadidato agli Oscar per la Polonia) dove la madre insegnante e il figlio studente lavoratore abbandonano la gelida baracca dove vivono e cercano alloggio in una casa occupata. Ambientato nel 2013, il loro impoverimento di intreccia con le manifestazioni di quell’anno dei neonazisti scatenati anche contro gli squatters. Il regista riprende dal vivo le scene delle manifestazioni e inserisce la presenza del protagonista sche in direzione opposta è alla ricerca perenne di un tetto sulla testa e del loro cane che nessuno vuole ospitare. Un’indicazione lampante della crisi che coinvolge vari paesi d’Europa conducendo a derive di destra. La presenza di un corvo sul tetto riporta all’iconografia degli anni successivi all’81, allo stato di guerra, come si vedono nelle vignette satiriche e poster underground a indicare Jaruzelski e la stretta del regime totalitario. Un racconto sottile della ricerca di una impossibile vita normale, «film allerta» che esce nell’anno del centenario della fondazione della repubblica polacca, a indicare i pericoli di questo 11 novembre, data in cui i nazionalisti polacchi e di altri paesi europei (anche italiani oltre che ungheresi) ogni anno si radunano in grandi manifestazioni patriottiche dagli slogan religiosi e xenofobi.
Film che indicano un forte spaesamento sono A hole in the head (Dziura w Glowie) di Piotr Subbotko e Fuga di Agniewska Smoczinska: il primo tutto giocato sull’attore e il suo doppio (Bartolomiej Topa e Andrzej Szeremeta), «attore di provincia» impegnato in desolanti tournée che torna dopo undici anni al paese, al capezzale della madre in coma e si scontra con un alter ego che vuole prendere il suo posto, film dagli innumerevoli riferimenti teatrali e cinematografic svolti con ironia e disincanto (da Kantor a Grotowski a Wajda). In Fuga (era alla Semaine di Cannes, qui premio come miglior esordio) interpretato da Gabriela Muskala anche autrice della sceneggiatura, lo spaesamento della protagonista è totale, dimentica di cosa le sia successo, della famiglia e degli affetti, sottile nel gioco del recupero della personalità.
LA STORIA
È del racconto storico che il cinema polacco non può fare a meno, tanto complessa la sua storia da trovare sempre nuovi spunti di riflessione. Ed è stato proprio con il film di apertura Kamerdyner (The Butler) di Filip Bjon, girato per essere suddiviso in cinque puntate, una sorta di Downton Abbey dell’aristocrazia prussiana ambientata tra il 1900 e il dopoguerra proprio in Pomerania, nel territorio di Gdynia, terra di Kashubi in lotta per mantenere l’indipendenza, popolo di origine slava che oggi nella città conta la maggior parte della popolazione o almeno di quelli che sopravvissero allo sterminio del 1939 quando dopo il trattato di Versdailles i Kashubi decisero di unirsi alla Polonia e non alla Germania. Tedeschi, polacchi e kashubi convivevano pacificamente prima del nazismo.
Parla di territori e confini anche Pardon di Jan Jacob Kolski, rarefatto, disteso nella cupa atmosfera del lungo cammino tra la guerra e il dopoguerra dove con determinazione e dignità i genitori di un soldato ucciso, trasportano a fatica la sua bara per dargli degna sepoltura nlla sua terra.
Ha già incontrato il pubblico internazionale, premio alla regia a Cannes e nomination ai prossimi Oscar per la Polonia, vincitore del festival di Gdynia Cold War (Zimna Wojna) di Pawel Pawlikowski, oggi il più conosciuto regista polacco, con il suo bianco e nero sfolgorante, un musical del socialismo reale con l’amore fatale tra Viktor e Zula, a partire da un materiale che sembrerebbe molto poco glamour come i cori e le danze folcloristiche. Il regista invece lo rende materia palpitante di molteplici dettagli e drammaticità, dai talent del dopoguerra (che ricordano un celebre documentario di Kieslowski), le tournée in tutti i paesi oltrecortina, la fuga in occidente in una spettacolare Parigi del ’57 del jazz e dei locali notturni, il ritorno in patria e la prigione. Un duetto che Joanna Kulig e Tomasz Kot conducono alla perfezione sotto lo sguardo vigile del commissario politico (Boris Szyc, Premio come miglior attore per The Butler).
IL MARZO 68
Una delle sezioni più interessanti del festival è stata dedicata al Sessantotto, una data che in Polonia è stata caratterizzata dalle manifestazioni degli studenti contro la persecuzione antisemita del governo. Entriamo nell’atmosfera dell’epoca con Index realizzato nel 1977 come lavoro di diploma da Janusz Kijowski e Krzysztof Wyszynski, restato poi bloccato per quattro anni e mostrato solo all’epoca di Solidarnosc insieme a tanti altri film censurati. Lo studente preso di mira dalla polizia, quando si ribella alla scomparsa di altri suoi compagni di corso e straccia manifesti antisemiti, viene espulso dalla scuola. Costretto a fare il carbonaio e a discutere con gli editori che vogliono correggere i suoi scritti cambiandone il senso, è lasciato dalla perché non è in grado di assumere «un comportamento conformista e umile», e quando infine riesce ad ottenere il posto di insegnante, è contestato a sua volta dagli studenti per i programmi svolti. Nella parte del più contestatario c’è il giovane Juliusz Machulski che negli anni 80 segnava effettivamente una svolta, diventato un regista di successo, finita l’epoca dei film politici, con film d’azione e commedie che prendevano in giro il regime.
Desta commozione nel finale March Caresses (Marcowe Migdaly) di Radoslaw Piwowarski (il suo Yesterday era a Venezia nell’85) commedia politica sugli ebrei costretti all’esilio dopo la guerra dei Sei giorni nel 67, storia di un gruppo di liceali spensierati bruscamente riportati alla realtà delle leggi antisemite quando il più carismatico tra loro è costretto a lasciare il paese con tutta la famiglia. L’identificazione del ragazzo con l’attore feticcio di Wajda, Chybulski, si fa sempre più forte nel racconto quando parte avvolto dal vapore della locomotiva mentre il suo amico del cuore cerca di raggiungerlo, come a far rivivere Chybulski che morì rincorrendo un treno, e con chiara allusione alla celebre scena del film sotto censura Treni strettamente sorvegliati di Menzel (Oscar del ’68), momenti chiave della storia del cinema dell’est riuniti qui con forte componente allusiva.
LA MOSTRA DEL ’68
Una mostra è stata dedicata in particolare alla decimazione di tanti celebri cineasti, espulsi a centinaia dal paese, dal maestro Aleksander Ford, a Tadeusz Jaworski, Jakub Goldberg, il rettore Jerzy Toeplitz, a tante maestranze in seguito alle leggi antisemite che espulsero dal paese 13mila ebrei e fecero esplodere la protesta degli studenti nel marzo del ’68. Ne parlano due famosi registi, Janusz Zaorski e Andrzej Krakowski esiliato negli Usa. «Ero al terzo anno della scuola di cinema di Lodz, il 68 è stata la fine della mia giovinezza. Avevo ventun anni» dice Zaorski che vide partire improvvisamente il suo amico Krakowski. Molti ebrei erano comunisti già prima della guerra, racconta, facevano parte del regime ma dopo la guerra dei Sei giorni furono bollati come antisovietici e filoisraeliani. E oltre agli ebrei furono presi di mira anche gli intellettuali e personaggi di spicco come Tadeusz Zaorski il padre del regista, vice primo ministro della cultura. «L’educazione, ammonisce Zaorski rivolto a una classe di liceali in visita, è la prima cosa che un regime vuole controllare, fate attenzione a non farvi dividere, non date retta ai media e alla televisione. Ricordate che la storia si ripete».
ZANUSSI
«Il mio primo film sul ’68 è stato Illuminazione, dice Zanussi a cui chiediamo qualche considerazione sui film del festival e situazione generale, non senza qualche polemica sul nostro e il vostro 68: «Voi cacciavate i professori dalle università, noi abbiamo combattuto per loro ». Il suo film Eter sarà in programma il 19 ottobre alla Festa di Roma, un film sulla scienza che pensa di essere onnipotente, considerazioni scientifiche che sono state spesso l’oggetto dei suoi film accanto a quelle spirituali e morali: «L’etere all’inizio del secolo era considerato misterioso, la quintessenza. Per la mia formazione di fisico sono entusiasta della scienza, ma deve seguire la sua vocazione, non diventare strumento di potere. Oggi pretende di sostituire la religione». A questo proposito cosa ne pensa delll’impatto di un film come Kler in un paese come la Polonia? «Penso che sia un sano impatto sulla Chiesa. Anche Lutero ha avuto un impatto positivo sul cattolicessimo. Può essere un fatto che purifica». E come giudica la situazione generale dell’Europa? «Inquietante, la democrazia ha dimostrato i suoi difetti». Ci sono segnali in questo senso nel cinema? «Le strutture sono legate ai valori materiali, non si rischia, troppo legate al capitale. I segnali prima erano più allusivi, ora sono più diretti perché non c’è la censura. Prima anche i reportage da paesi stranieri erano allusivi, chiari riferimenti di qualcosa che succedeva nel nostro paese». Avete mantenuto la stessa indipendenza nel gruppo di produzione Tor? «Giriamo poco, raramente documentari facciamo una lunga selezione, realizziamo solo uno o due film all’anno. L’ultimo è la miniserie in preparazione di Agiewska Holland sui peccati mortali». Il Decalogo indicava i comandamenti «E i peccati sono la realizzazione». Abbiamo visto al festival che i film non guardano alla società ma, a parte i film storici, piuttosto a vicende chiuse all’interno delle famiglie: «È uno dei problemi sociali, la gente si nasconde nella famiglia. E scopre che non c’è l’amore. Del resto lo vediamo anche in Shakespeare: Romeo e Giulietta è invecchiato, per non parlare di Otello. Oggi solo Macbeth è attuale».
DANZICA
Al cancello 2 dei cantieri navali di Danzica è stata tolta la scritta «IM.Lenin» nel nome di Lenin e gli stabilimenti sono stati trasformati in museo- È come rivedere l’appassionante vicenda di Solidarnosc che si svolse qui nel 1980, vista attraverso documentari come Robotnicy 80 o L’Uomo di ferro di Wajda. Qui lavoravano 20mila operai, il soffitto è tappezzato dei loro caschi, c’è l’elenco con i 21 punti delle trattative, una lista entrata tra i beni dell’umanità dell’Unesco, c’è il carro ponte guidato da Anna Walentynowicz l’operaia licenziata chedette il via alle proteste, c’è il furgone su cui Walesa teneva i suoi discorsi, la ricostruzione dei famosi appartamenti di 30 metri quadrati e delle celle. Il percorso è chiamato «Strade verso la libertà» segnato dalle date Poznan 56, Danzica 70, Solidarnosc 80.