L’Ue ha un terzo vaccino a disposizione. Si tratta del vaccino sviluppato dall’università di Oxford e prodotto dalla casa farmaceutica AstraZeneca. Il parere positivo dall’Agenzia Europea del Farmaco (Ema) è giunto ieri. L’Ema ne ha raccomandato l’uso sulla popolazione di età superiore ai 18 anni. Secondo i dati presentati dall’azienda all’agenzia, il vaccino ha dimostrato un’efficacia del 60%. Una delusione, dopo tanti annunci: nelle settimane passate, l’ad dell’azienda

Pascal Soriot aveva addirittura parlato di un’efficacia pari a quella dei concorrenti Pfizer e Moderna, superiore al 90%.
Oltre alla ridotta efficacia, il vaccino pone altri interrogativi. «La maggior parte dei partecipanti agli studi clinici ha tra i 18 e i 55 anni» riporta l’Ema. «Non ci sono dunque dati a sufficienza su quelli con più di 55 anni per prevedere l’efficacia del vaccino in questa classe di età». Tuttavia, sulla base dei dati sugli altri vaccini, gli esperti hanno deciso di raccomandare il vaccino anche per gli anziani. La decisione è destinata a far discutere. La Germania aveva già annunciato di non somministrare il vaccino agli anziani, in mancanza di dati. Oggi toccherà all’agenzia italiana del farmaco (Aifa) sciogliere il nodo. Se il vaccino AstraZeneca sarà autorizzato nella popolazione anziana, qualcuno dovrà accontentarsi di un vaccino meno efficace degli altri. Se invece il vaccino sarà somministrato solo ai giovani, le dosi in arrivo rischiano di rimanere inutilizzate, visto che adesso la priorità è vaccinare gli anziani.

Dal canto suo, il direttore generale della prevenzione Gianni Rezza spiega che il piano strategico vaccinale «non deve essere considerato in modo troppo rigido», ma deve adattarsi a una situazione in continua evoluzione. Perciò, nonostante il piano sia stato appena aggiornato, è già pronto il documento che rivedrà le categorie destinatarie del nuovo vaccino sulla base delle decisioni dell’Aifa. «In ogni caso, più vaccini ci sono meglio è», spiega lapalissianamente Rezza. Il vaccino AstraZeneca ha il vantaggio di una più facile conservazione, dato che non richiede temperature particolarmente basse. «E poi non abbiamo certo un problema di abbondanza».

Il riferimento è ai tagli delle forniture da parte delle società farmaceutiche. Dopo quelli operati dalla Pfizer e annunciati da AstraZeneca ancor prima dell’autorizzazione (da 16 a 3,4 milioni nel primo trimestre), anche il terzo produttore di vaccini, Moderna, ha comunicato che invece delle oltre 150 mila dosi previste la prossima settimana ne arriveranno solo 132 mila, il 20% in meno. Arcuri non nasconde il suo smarrimento: «Quanti italiani riusciremo a vaccinare, e quando? Quando ci saranno i vaccini» ammette. «Ogni giorno devo dare una risposta diversa, indipendentemente dallo sforzo di regioni, medici e infermieri».

Poi snocciola le cifre: «Fino al 15 gennaio erano state somministrate 81 mila dosi al giorno. Dal 16 al 25 gennaio siamo passati a 39 mila dosi, meno della metà». L’Italia aveva fatto 200 mila vaccinazioni più della Germania. Oggi siamo a 400 mila in meno. «Ci mancano almeno 300 mila dosi» lamenta, e annuncia che intende sostenere le ragioni dell’Italia in ogni sede legale. La linea dura italiana ora è condivisa a livello europeo: «La commissaria europea alla Salute Stella Kyriakides ha definito inaccettabile la decisione di consegnare meno dosi all’Ue che ne ha finanziato lo sviluppo».

Il commissario e ad di Invitalia punta a riconquistare un minimo di autonomia dalle società che non mantengono gli impegni. È di pochi giorni fa l’annuncio dei 81 milioni investiti nello sviluppo di un vaccino italiano, con l’ingresso dello Stato nel capitale della Reithera. «È la prima ma non ultima operazione a sostegno dello sforzo italiano per il contrasto della pandemia» spiega Arcuri. «Obiettivo strategico è dotare il nostro paese di una rete di sperimentazione e di produzione autoctona di vaccini e farmaci». Ma non sarà facile ricostruire in pochi mesi un settore della ricerca trascurato da decenni, con migliaia di ricercatori ormai volati all’estero.