Veniva dal Lucrezio Caro, il liceo del Villaggio Olimpico. Il quartiere, costruito per le Olimpiadi del 1960 nel luogo di una vasta bidonville, si stende tra il Tevere e i Parioli, dove abitava la sua famiglia. Come altri di quella scuola si era accostato alla Facoltà di Architettura occupata, spinto dalla curiosità e dalla vicinanza.

Forse aveva seguito l’esempio o il suggerimento di Straccio (Paolo Liguori). Nel Gruppo degli Uccelli era entrato con prudenza e discrezione. Taciturno per indole e bello di aspetto, alimentava un piccolo mistero intorno alla sua persona. Aveva capelli nerissimi, che portava lunghi e divisi nel mezzo. L’acconciatura ricordava i Chiricahua e gli meritò subito il nome di battaglia che lo ha accompagnato per anni: Apache. Quasi nessuno conosceva quello anagrafico: Giovanni.

Incline a osservare più che a essere osservato, appariva e si muoveva in silenzio, onorando il mito legato al soprannome. Alle azioni degli Uccelli partecipò all’inizio in modo sporadico. Nel tempo aumentò senza parere la frequenza. La spedizione del Gruppo ai Sassi di Matera fu il tempo e il luogo della sua adesione piena.

Forse lo attraeva quella temperie. Di certo era affascinato dal luogo e dalla sua attinenza con la disciplina che lo avrebbe appassionato per la vita: l’archeologia.

Nel ’68 noi giovani studenti volevamo conoscerci, incontrarci con sensibilità e visibilità; negli anni precedenti avevamo partecipato a dibattiti su temi importanti, politici, culturali, sociali, promossi da esperti e riconosciuti protagonisti che chiedevano semplicemente il nostro sostegno.

Tutto era inviato ai gestori del potere, a cui si chiedeva risposta per il futuro. La nostra presenza in assemblea era riduttiva e ci lasciava separati e dissociati, lo stare insieme era fondamentale per vivere meglio e doveva subito generare i nostri desideri.

Salimmo sugli alberi per evidenziare il parco di Villa Borghese dove era presente la nostra Facoltà, forse per questo ci chiamarono gli Uccelli.

Apache come molti di noi aveva lunghi capelli per evidenziare una diversità rispetto al conformismo che condizionava le nostre scelte. Cercavamo di metterci in relazione con persone attive nella comunità urbana in cui vivevamo, ci piaceva incontrare chi poteva sollecitare espressioni del nostro immaginario e del nostro essere liberi.

Andammo a salutare Zavattini a casa sua, contento di incontrarci ci parlò del Festival del cinema a cui era simpatico partecipare. Andammo a Venezia con lui e partecipammo ad una manifestazione di dissenso sulla gestione che veniva fatta.

Purtroppo la presenza delle forze dell’ordine spinse Apache e Diavolo ad allontanarsi decidendo di tornare a Roma con l’autostop. Noi rimanemmo con Zavattini convinti a tornare con lui. Apache accettava le manifestazioni di protesta ma rifiutava il conflitto con le forze dell’ordine.

Andammo a conoscere nel suo studio a Roma Carlo Levi, che ci chiese cosa stavamo pensando nel movimento dei giovani e accennammo che volevamo aggiungere Matera con la sua storia; ci parlò dei Sassi che i cittadini avevano abbandonato dove era possibile mettere in evidenza la giusta rinascita.

Organizzammo con Apache un bel gruppo romano e insieme a studenti berlinesi andammo a Matera e ci insediammo nei Sassi per convivere con la comunità e conoscerne le intenzioni e i problemi. Carlo Levi ci aveva consigliato di rivolgerci a Mimì Notarangelo, che avrebbe aperto contatti e accoglienza.

I Sassi erano accessibili e trovammo luoghi molto adatti ad ospitarci. Coloro che li abitavano ci offrirono di mangiare insieme e ci dettero anche in uso degli asinelli. La nostra presenza era sempre più solidale e suggestiva e molti eventi collettivi ebbero successo.

Apache era molto appassionato al modo come era stata realizzata tramite scavi quell’antica realtà, come avevano raccolto l’acqua e collegato tutto con percorsi adeguati.