La cosiddetta «fase 2» incominciata ieri ha, nei fatti, allentato il lockdown cominciato con i provvedimenti di inizio marzo. Il Dpcm in vigore ha previsto, tra gli altri servizi, anche la riapertura dei centri diurni precedentemente sospesi. In questa particolare casistica rientrano tutte quelle realtà che erogano servizi e forniscono assistenza a categorie fragili come disabili fisici e psichici, anziani parzialmente non autosufficienti oltre che adulti e minori con situazione di disagio.

Il decreto del 26 Aprile ha previsto che queste strutture «vengono riattivate secondo piano territoriali, adottati dalle Regioni, assicurando attraverso «eventuali specifici protocolli il rispetto delle disposizioni per la prevenzione del contagio e la tutela della salute degli utenti e degli operatori».

L’associazione Mille (Movimento Indipendente Liberi Lavoratori Dell’Educazione) che riunisce molti operatori del settore ha lanciato, per prima, un grido d’allarme per denunciare come il riferimento a «specifici protocolli» appaia del tutto insufficiente per permettere agli operatori di lavorare in sicurezza.

Secondo Fabio Ruta, vicepresidente dell’associazione, si dovrebbe prevedere una uniformità dei protocolli per evitare che si possano produrre effetti simili a quelli registrati, soprattutto nelle regioni settentrionali del paese, nelle residenze per anziani. Sarebbero quindi necessarie delle linee-guida sui protocolli di sicurezza e i Dpi da adottare e fornire a queste strutture.

La particolare utenza di questi servizi, che coinvolge almeno 100mila operatori in tutta Italia, non si rivolge solo a persone disabili, ma anche ad anziani, adulti o minori con problemi di salute mentale e, in generale, a persone con caratteristiche soggettive che impediscono loro il rispetto delle norme di sicurezza come può essere anche solo l’indossare o mantenere per diverse ore le mascherine.

Altri interrogativi emergono sulle modalità con cui deve essere effettuata la sanificazione dei locali e sul rapporto numerico personale-utenza adeguato a contenere i rischi. A questo si aggiungono le oggettiva difficoltà di garantire la sicurezza negli interventi a domicilio.

L’aver delegato, da parte del governo, ad ogni singola Regione i provvedimenti attuativi potrebbe portare a situazioni paradossali come avvenuto, a marzo, con il primo provvedimento di lockdown quando la Regione più colpita dal Covid-19, la Lombardia, è risultato l’ultima a chiudere proprio i centri diurni.

Per questo Paolo Del Vecchio, della Cgil Funzione Pubblica del Piemonte, sottolinea le enormi deficienze riscontrate fino ad oggi in una regione dove «vi è stata una scelta strategica sbagliata di concentrare l’azione di contrasto al coronavirus solo sui presidi ospedalieri abbandonando a se stesso il territorio».

«Per questo – continua Del Vecchio – bisogna trovare un giusto equilibrio tra garantire i servizi alle persone e la sicurezza, con un poderoso screening sanitario del personale educativo che riprenderà le proprie attività».

Le richieste degli educatori hanno trovato voce nella senatrice del Partito Democratico Vanna Iori, pedagogista ed accademica, che ha depositato un’interrogazione a Palazzo Madama per chiedere al Governo di definire delle linee guide nazionali certe per i centri diurni per permettere agli operatori e agli utenti di agire in sicurezza. Secondo l’esponente democratica è necessario «prendersi cura di chi si prenda cura», sperando che si faccia in fretta.