Ieri, a Palazzo Madama, si è svolta la presentazione dei dati dei centri antiviolenza della rete D.i.Re. Su iniziativa di Anna Rossomando, vicepresidente del Senato e in vista della giornata internazionale contro la violenza maschile alle donne del 25 novembre, una rilevazione statistica che apre lo scrigno fondamentale di un lavoro quotidiano lungo un anno di 80 organizzazioni che gestiscono 85 centri antiviolenza in 18 regioni italiane; più della metà dei centri (55) ha a disposizione anche le case di accoglienza residenziali, le cosiddette «case rifugio».

A EMERGERE non sono solo le cifre, bensì le storie e anche le risposte fornite a chi intende intraprendere un percorso di fuoriuscita dalla violenza. È a queste ultime donne che il report (a cura di Paola Sdao, con la collaborazione di Sigrid Pisanu) si riferisce, cioè a tutte quelle che si sono rivolte in questo ultimo anno alla rete Di.Re. Le regioni con maggiore densità di centri antiviolenza risultano essere Lombardia (13), Toscana ed Emilia Romagna (12 per ciascuna). Basilicata e Marche con la media più bassa. Prima accoglienza, consulenze, formazione a operatrici e operatori, reperibilità telefonica h24, servizi specialistici (legali, psicologici in particolare), ciò che ogni centro offre è in linea con un senso di responsabilità per la continuità del lavoro che viene svolto ma che perlopiù è difficile da coprire economicamente, quando non completamente gratuito; questo dato significa pochi finanziamenti riconosciuti e poche risorse dunque su cui contare; i risultati mostrano infatti che la quasi totalità dei centri può contare su una media di 29 donne «attive» di cui solo 9 vengono retribuite.

Le donne accolte nel 2017 sono state complessivam,ente 20137, il 68% è di provenienza italiana mentre il 26% da altri paesi – percentuali che rimangono inviariate rispetto al 2016. Tra chi ha deciso di intraprendere un percorso di fuoriuscita dalla violenza, le donne che si sono recate per la prima volta a un centro antiviolenza sono state 13956, lievemente superiori rispetto il 2016. La metà di queste donne è compresa in una fascia di età tra i 30 e i 49 anni, il 24% è tra i 30 e i 39 anni mentre quasi il 20% è attribuibile a due fasce anagrafiche (quelle dai 18 ai 29 anni e dai 50 anni in su); le cifre invece relative alle minorenni sono residuali, eppure presenti.

LA COSTELLAZIONE della violenza maschile, agita perlopiù da partner o ex, è nel 73% dei casi di tipo psicologico e nel 63% di tipo fisico, con numerosi e inqueitanti intrecci riguardo la violenze di carattere economico, insieme a stupri e stalking.
Le tipologie di uomini che usano violenza è abbastanza nota e parte da un dato certo: quasi sempre chi agisce violenza contro una donna è in relazione con lei; sono infatti partner (nel 56% dei casi) o ex (20%), in forma più residuale ma presente un familiare; italiani nel 65% dei casi mentre nel 23% stranieri, colpiscono di più in una fascia di età che va dai 40 ai 49 anni.

I DATI raccontano una realtà italiana che è fitta di dati di cronaca, violenze sessuali e femminicidi, ma anche di un sommerso – che sarebbe poi la quotidianità che non fa notizia – che sempre più donne decidono di interrompere. Fondamentale sarebbe dunque sostenere le esperienze dei centri antiviolenza, di cui Di.Re. rappresenta esempio virtuoso che affonda le proprie radici nella storia lunga e salda del movimento delle donne e del femminismo. Il crescendo dei numeri spaventa ma al contempo rassicura che per uscire dalla violenza maschile bisogna cominciare a rivolgersi ad altre donne, alla relazione tra donne.