Dro è il nome di un paese di cinquemila abitanti situato in Trentino, incastonato tra le montagne e il fiume Sarca. Un luogo dove la natura è potente e conserva le tracce di processi antichi, il ritiro dei ghiacciai ventimila anni fa ha lasciato in dote un paesaggio lunare di frane e crolli. È proprio qui, a qualche chilometro di distanza dall’abitato, che sorge Centrale Fies: una centrale idroelettrica ancora parzialmente in funzione, la maggior parte dei suoi immensi spazi è però dedicata ad un centro di ricerca e produzione per le arti performative. Una realtà ormai consolidata, resa possibile dal lungo lavoro sul territorio di Barbara Boninsegna e Pino Sommadossi, fondatori quarant’anni fa del festival Drodesera.

L’INTENTO era quello di portare ciò che a Dro non c’era, le compagnie teatrali e la ricerca artistica. Un progetto che è cresciuto molto nel tempo grazie ad una continua messa in discussione dei risultati ottenuti: «In quarant’anni abbiamo attraversato tutte le fasi storiche interne all’ecosistema delle arti performative, ad un certo punto però ci sono sempre andate strette» afferma Barbara Boninsegna, tutt’oggi direttrice artistica del centro.

L’andamento di Centrale Fies vuole che circa ogni cinque anni vengano rivoluzionati contenuti, formati e linguaggi. Quando il pubblico inizia a sentirsi a proprio agio, raccontano, è in agguato un nuovo spiazzamento. Se la partecipazione degli spettatori nei momenti di apertura è chiaramente importante, per la natura del luogo lo è ancor di più quella degli artisti e delle artiste. Le grandi sale li accolgono in residenza durante tutto l’arco dell’anno, il team del centro li segue e li accompagna in maniera personalizzata, calibrando ogni volta l’azione di supporto in base alle loro esigenze.

C’è chi viene per lavorare su spettacoli importanti e già impostati, chi necessita di un confronto maggiore con i curatori, chi ha bisogno di entrare in risonanza con il silenzio del luogo, che con la sua potenza non è certo neutro: «È l’architettura della centrale che abita noi e non il contrario, praticare ricerca all’interno di quegli spazi ne determina l’esito» racconta Virginia Sommadossi, responsabile della comunicazione.

ATTRAVERSARE il ponte sul fiume Sarca e superare i cancelli è un po’ un rituale di ingresso in un altro mondo, ideale per chi cerchi raccoglimento per creare e lavorare. Un luogo che è anche un’impresa culturale, resa possibile grazie a finanziamenti sia pubblici che privati. In primis i preziosi spazi, proprietà di Hydro Dolomiti Energia, sono stati concessi nel ‘99 tramite un comodato d’uso gratuito e hanno segnato la grande svolta rispetto a un festival locale che si svolgeva interamente all’aperto, per le strade e i cortili del paese. Poi la partecipazione ai bandi, purché non minino l’indipendenza nelle scelte, un valore a cui la cooperativa di gestione tiene moltissimo.

Infine i proventi delle produzioni degli spettacoli, in special modo quelli delle compagnie del progetto Factory nato nel 2007 per supportare Dewey Dell, Sotterraneo, Anagoor, Francesca Grilli, Codice Ivan, Marta Cuscunà, Pathosformel anche sul piano dell’amministrazione e della distribuzione.

Oggi a Centrale Fies è iniziato un nuovo ciclo che vede per la prima volta l’abbandono della tradizionale formula del festival concentrato nel solo periodo estivo. Già quest’anno, per quanto limitati dalla pandemia, erano previsti diversi momenti di apertura al pubblico per quella che hanno definito una programmazione «esplosa», non più contenuta in una sola fase. Una scelta inusuale dovuta a diverse ragioni, come racconta Boninsegna è stata fatta «per poterci prendere il giusto tempo da dedicare alla ricerca degli artisti e per valorizzare il lavoro quotidiano di Centrale Fies».

Diluire il momento topico, vissuto ormai come riduttivo, per far sì che possa emergere altro, ovvero l’incessante attività di artisti e curatori. Accanto alla direttrice artistica c’è ormai un team numeroso, una curatela anch’essa «esplosa» dove ogni professionista si occupa di un progetto differente a seconda della propria formazione. La punta di diamante rimane Live Works, il programma di residenze curato dalla stessa Barbara Boninsegna e da Simone Frangi in cui gli artisti vengono selezionati tramite una chiamata internazionale per venire poi accompagnati al debutto e messi a confronto con professionisti della disciplina, anch’essi scelti con la stessa modalità.

NONOSTANTE gli impedimenti, quest’anno sono riusciti a venire a Dro l’artista turca Göksu Kunak, la brasiliana Thais Di Marco, il malgascio Harilay Rabenjamina e l’italiana Giulia Crispiani. Non mancano progetti più innovativi, come INBTW curato da Claudia D’Alonzo, che indaga i rapporti tra corpo e digitale. C’è poi la sezione di arti visive, curata da Simone Frangi e Denis Isaia; i programmi rivolti più specificamente al territorio, con le lezioni di storia della performance per bambini o il corso in webinair per riflettere sull’identità culturale e turistica del Trentino.

Se ne potrebbero aggiungere altri che vedono attualmente il supporto dei curatori Mackda Magada Ghebremariam Tesfau’, Justin Randolph Thompson, Filippo Andreatta. Un gruppo sempre più allargato, come sottolineato nelle parole di Boninsegna: «Il dialogo e lo scambio sono fondamentali. Inizialmente avvenivano soprattutto tra me e gli artisti, poi si sono ampliati nell’intenso rapporto con i co-curatori». Dei numerosi eventi che si svolgeranno nel corso del prossimo anno possiamo anticipare una programmazione intorno allo spettacolo di Marco D’Agostin, co-curata dallo stesso artista.