Dopo ripetuti rinvii si aprono oggi le urne in Centrafrica per eleggere il parlamento e un nuovo presidente. Tra non pochi timori di attentati, sabotaggi dei seggi e scontri tra bande armate e civili. Una tornata elettorale storica per le aspettative post-elettorali che gravano sui candidati e sui loro entourage.

Agli eletti, infatti, tanto le popolazioni locali quanto la comunità internazionale chiedono di mettere fine a una crisi emersa a marzo 2013 con la deposizione dell’allora presidente Francois Bozizé ad opera delle milizie degli ex-Seleka e alle ragioni che l’hanno innescata aprendo un periodo di destabilizzazione politico-sociale e di massacri a sfondo etnico-religioso.

In un contesto di mancanza di coesione nazionale, in cui sarebbe arduo riuscire a distinguere tra esercito governativo, gruppi armati tout court e milizie di auto-difesa. Quest’ultime vantano una lunga tradizione ma sono ora vittime della strumentalizzazione politica così come musulmani e cristiani lo sono della manipolazione religiosa a fini politici che in pochi anni ha trasposto la lotta tra formazioni armate in una faida civile tra comunità armate(si) che riconoscono nelle une e nelle altre i loro protettori. Vale a dire, i musulmani negli ex-Seleka e i cristiani negli Anti-balaka.

Questo primo turno non sembra foriero di buoni auspici per redimere le sorti di una nazione come la Repubblica Centrafricana di cui dire che sia uno stato vale più come esergo senza valore che come riferimento di fatto. Le elezioni di oggi avrebbero probabilmente rappresentato un punto di svolta se l’attuale governo di transizione guidato da Catherine Samba Panza avesse agito a favore del dialogo interreligioso e di estensione dei programmi di disarmo. Di questo invece dovrà farsi carico il futuro presidente e parlamento. Azioni verso un processo di riconciliazione sono state fatte, è vero.

La più importante iniziativa in questa direzione è stato il forum tenutosi a Bangui a maggio di quest’anno. A cui sono stati invitati più di 600 partecipanti tra cui i rappresentanti di vari gruppi armati con 10 dei quali il ministero della difesa ha raggiunto un accordo per la consegna delle armi, la rinuncia alla lotta armata e l’adesione al processo di Disarmament, Demobilisation, Reinsertion and Repatriation (Ddrr).

Nonostante tali accordi, però, non vi è stato quasi alcun progresso, in vista del voto, verso il disarmo di migliaia di combattenti fedeli ai gruppi ribelli. Tanto che durante il referendum costituzionale del 13 dicembre, uomini armati hanno attaccato i seggi a Bangui e a Bossangoa, così come in alcune aree del nord-est. L’8 dicembre scorso la corte costituzionale ha reso noto i nomi dei 30 candidati ammessi a correre al primo turno delle presidenziali.

Tra le 15 candidature respinte vi è quello di François Bozizé, destinatario di sanzioni internazionali, che contava su un ritorno al potere attraverso le urne. E che senza lasciare Kampala dove vive in esilio (e senza potersi dunque iscrivere nelle liste elettorali), ha però trovato il modo scendere in lizza. Il 22 dicembre scorso infatti, il partito dell’ex presidente Bozizé – il Kwa Na Kwa (Knk) – e quello di Anicet-Georges Dologuélé – l’Union pour le renouveau centrafricain (Urca) – hanno siglato un accordo politico in base al quale in cambio del suo appoggio, il partito di Bozizé beneficerà di una sorta di condivisione del potere, all’assemblea nazionale come al governo, in caso di vittoria del candidato dell’Urca.