A centocinquanta metri da dove il 19 luglio un uomo ha sparato a Cirasela, la bambina rom tornata a casa dall’ospedale solo un mese fa, c’è la Casa Benvenuto. Ospita 25 migranti con richiesta di asilo ed è incastonata fra palazzi popolari. Sulla strada c’è l’altro spazio che ospita una scuola di italiano. Entrambi dimostrano che anche a Centocelle, periferia sud est romana, l’integrazione è possibile e quotidiana. E Salvini punta a smantellarla sopratutto per questo.

Proprio nei giorni degli spari alla bambina rom, il centro per migranti aperto nel 2013 passava da essere uno Sprar (centro per richiedenti asilo e rifugiati) a Cas (centro di accoglienza straordinaria). Anticipando senza volere ciò che il decreto Immigrazione voluto dal ministro dell’Interno imporrà a tutti coloro che lavorano per aiutare i migranti, avendo fortemente ridotto gli Sprar, dimezzando i fondi e rendendo quasi impossibile operare.

«Il bar dove faccio colazione è frequentato da gente dichiaratamente di destra, quando faccio notare la nostra presenza per difendere le ragioni dei migranti tutti mi dicono: “Eh, ma voi siete diversi”. Oppure chi non ci conosce e capita qua dice: ”Non mi ero mai accorto che ci fosse un centro per immigrati”. Tutto questo perché siamo percepiti come parte del quartiere», spiega Simone Andreotti che gestisce gli spazi per la cooperativa In-migrazione originariamente fondata da Marco Omizzolo per aiutare i braccianti sikh nel Pontino.

I 20 RAGAZZI OSPITATI al momento sono tutti africani, il gruppo più grande è formato da ragazzi nigeriani, numerosi dal Gambia, poi da tante nazioni subsahariane: «Più vengono da paesi diversi, più è facile per noi costruire un gruppo», continua Simone. Divisi in stanze da quattro sono seguiti da tutor personali: «Abbiamo uno psicologo, un operatore legale, un infermiere, i ragazzi fanno un colloquio a settimana».
A far le pulizie c’è Yassur che viene dall’Afghanistan «e lavora con noi dal 2008». Tutto è ordinato e pulito. «L’idea di fondo è costruire un luogo positivo per far tirare fuori ai ragazzi il meglio di loro, quella bellezza che citava sempre Peppino Impastato».

Una strada che ha portato a risultati inaspettati in questi 5 anni di esperienza. «Ognuno ha la sua storia, quasi tutti sono arrivati in Italia con un barcone e pochi pensano di fermarsi, ma poi quelli che sono rimasti in Italia non sono pochi. La cosa che mi colpisce ancora dopo tanti anni e sentirgli dire: “Nessuno mi ha chiesto come sto”. E allora capisci che queste persone devono ricostruirsi completamente e noi li aiutiamo a farlo».

LA PRIMA CONQUISTA è l’autonomia. «L’obiettivo è che possano gestirsi da soli e scegliere quali corsi fare e metterli in contatto con chi li può aiutare a trovare un lavoro», spiega Simone. E la conquista del giorno è quella di Amadou che è andato da solo all’ufficio della anagrafe per fare la richiesta di residenza: «Ho fatto una lunga fila – racconta sorridente – e alla fine mi hanno dato un altro appuntamento», spiega già abituato alla burocrazia italiana.

FAMARÀ DEL SENEGAL al mattino frequenta la scuola di italiano. A far lezione insieme a liu c’è mezzo mondo, anche al femminile: Nicoli dello Sri Lanka, Zaina del Marocco, Hadi dal centro America. Dieci persone da dieci paesi diversi. Ad insegnare loro l’italiano c’è Simona, oggi si parla di medico e ospedali. Ognuno racconta la sua esperienza e le differenze fra l’Italia e il loro paese. Così si scopre che sia in Sri Lanka che in Gambia esistono «posti dove ci sono delle specie di medici che ti aiutano dando qualcosa da bere», raccontano Nicoli e Amadou.

«Molti dei nostri ospiti non hanno mai preso una penna in mano, mentre fra quelli che vengono solo alla scuola c’è un turn over fortissimo con livelli diversissimi: il problema è fare una lezione che aiuti tutti e non annoi nessuno, ma è il nostro lavoro, ci piace e ci dà soddisfazione farlo», sorride Simona.

Amadou viene dal Mali. «Sono stato alla Casa Benvenuto e ora vivo qua vicino, ho un lavoro in regola come bracciante in una cooperativa agricola. Ma il mio italiano non è buono così vengo per migliorarlo e vedere un po’ di amici», racconta.

DAL PUNTO DI VISTA amministrativo la differenza principale fra Sprar e Cas è che i secondi ricevono fondi tramite un bando della Prefettura. «Il bando è biennale e ognuna delle 101 prefetture ha un regolamento diverso tramite quasi sempre procedure di gare europee».

Ogni base d’asta prevede i famosi 35 euro a migrante al giorno. Quelli che ora Salvini punta a tagliare a 22 euro. Mandando al tappeto qualsiasi idea di integrazione. «La maggioranza degli italiani è stata portata a pensare che i 35 euro al giorno vadano al migrante, mentre a loro va solo il cosiddetto Pocket Money da 2,50 euro al giorno che noi diamo invece mensilmente togliendo i 30 euro dell’abbonamento ai trasporti, quindi pari a 45 euro».

La cooperativa In-migrazione ha prodotto la prima ricerca sui Cas in Italia, intitolandola «Straordinaria accoglienza». Sessanta pagine che danno uno spaccato completo e approfondito su cosa sia la gestione dell’immigrazione in Italia. Analizzando le gare d’appalto si scopre che i «famosi 35 euro» sono così ripartiti: 15 per costi del personale; 11,27 per la fornitura pasti; 0,39 per costi di pulizia e igiene; 4,14 per costi di fornitura beni (vestiario soprattutto) dentro i quali ricadono i 2,5 euro del Pocket money; alla voce «Altro» rimangono 4,2 euro.

NELLA CLASSIFICA DEI BANDI delle prefetture sul «podio delle procedure d’appalto» ci sono Rieti prima con 88 punti, Siena seconda con 85, Ravenna terza con 80 su 110. I punteggi derivano da 4 voci: incentivo a strutture di piccole dimensioni; qualità dei servizi alla persona e all’integrazione; qualità del gruppo di lavoro e la qualità progettuale complessiva. Tutte e tre imponevano Cas con al massimo 25-30 ospiti. In gran parte delle altre provincie – compresa Roma – il limite è di 300. In fondo alla classifica i tre bandi peggiori sono quelli di Cosenza (4 punti su 110), Crotone (12) e a sorpresa Firenze (16 perché non prevedeva un limite di persone e non richiedeva qualità nei gruppi di lavoro).

Cosa succederà tagliando a 22 euro al giorno? «Dovremo tagliare su tutto – spiega Simone – dai pasti ai servizi e chiaramente a pagarne le conseguenze saranno in primis i migranti». Il vero obiettivo di Matteo Salvini.