Era il 24 aprile del 2013, esattamente tre mesi fa, quando nel distretto di Savar, alla periferia di Dacca, capitale del Bangladesh, il palazzo di otto piani «Rana Plaza» si accartocciò su se stesso. A novanta giorni da quella tragedia, che causò la morte di 1.129 persone (le operazioni di ricerca terminarono il 13 maggio), si fa il punto per evitare che si ripeta quello che è considerato il più grave episodio della storia del lavoro tessile (otto mesi primi era toccato alla fabbrica Tazreen).
L’11 e il 12 agosto a Dacca avrà luogo un incontro che ha lo scopo di riunire le aziende che hanno effettuato ordini ai vari stabilimenti in cui la mancanza di norme di sicurezza ha causato 1.243 morti e migliaia di feriti. L’incontro avrà in agenda il tema del risarcimento: la cifra stimata per il Rana Plaza si aggira intorno ai 54 milioni di euro. Per la Tazreen intorno ai 4,3 milioni. Solo Primark ad oggi ha pubblicamente dichiarato che parteciperà al Fondo mentre altri marchi hanno preferito annunciare solo operazioni caritatevoli anziché impegnarsi su un vero Fondo negoziato.

[do action=”citazione”]Tra i marchi invitati ci sono Benetton, Mango, Walmart, Primark, The Walt Disney Company e l’agenzia internazionale Li & Fung[/do]

Tra i marchi invitati ci sono Benetton, Mango, Walmart, Primark, The Walt Disney Company e l’agenzia internazionale Li & Fung. Ciascuna aveva effettuato ordini a una delle fabbriche coinvolte dalle tragedie. Oltre a queste, sono state invitate anche Manifattura Corona, Piazza Italia e Yes Zee.
Intanto un po’ di strada si è fatta, a partire dall’Accord on Fire and Building Safety in Bangladesh. La tragedia di Dacca contribuì a far firmare a molte aziende (anche italiane) – prima riluttanti – quest’accordo costituito da un contratto vincolante tra 70 marche e rivenditori del settore dell’abbigliamento (di oltre 15 Paesi), sindacati e Ong. L’8 luglio il comitato di direzione dell’«agreement» ha annunciato il piano di avvio della fase esecutiva dell’Accordo (vedi scheda sotto).

Secondo i firmatari, al primo punto c’è la necessità di procedere rapidamente per ridurre i gravi pericoli ai quali sono soggetti i lavoratori nelle aziende coperte dall’accordo. Le prime ispezioni saranno portate a termine in tutte le fabbriche al più tardi entro nove mesi dalla firma. I progetti di rinnovamento e di riparazione saranno messi in atto dove necessari: progetti che si concentreranno sulle situazioni in cui i lavoratori sono esposti a rischi immediati, in particolare dove vengano riscontrate falle nelle infrastrutture o nelle procedure di emergenza (esercitazioni anti incendio, evacuazioni, uscite di sicurezza) o dove si riscontrino difetti strutturali che potrebbero condurre a guasti parziali o totali nella fabbrica.
Nel periodo intermedio invece un protocollo di emergenza garantirà la possibilità di intervenire rapidamente per proteggere i lavoratori nelle aziende dove i programmi di ispezione esistenti o i rapporti dei lavoratori identifichino una minaccia immediata per la vita o situazioni pericolose. Tutte le aziende firmatarie che fanno capo alla fabbrica in questione saranno informate immediatamente e al proprietario sarà intimato di cessare le attività in attesa di ulteriori ricerche o riparazioni.
I sei membri esecutivi del Comitato di direzione includono funzionari di IndustriAll Global Union, Uni Global Union e del consiglio dei sindacati del Bangladesh, nonché rappresentanti delle aziende firmatarie: Inditex, N.Brown Group and Pvh Corp. L’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) ha designato un suo rappresentante senior come presidente. Un comitato consultivo include rappresentanti del governo del Bangladesh, dei fornitori, delle marche, dei sindacati locali e delle Ong.

 

Ma non tutto è filato liscio: Walmart e Gap, due importanti multinazionali del settore, hanno rifiutano l’Accord on Fire and Building Safety e hanno annunciato un loro piano con un programma di ispezioni che – secondo la campagna internazionale CleanClothes (in Italia «Abiti puliti») «va ad aggiungersi alla lunga lista di interventi inefficaci propagandati per anni». «Offrono un programma che imita l’Accordo in maniera retorica – dicono gli attivisti – omettendo le caratteristiche che lo rendono significativo». Più che un piano, dicono i critici, è un «paravento». Si tratta infatti di un programma sviluppato e controllato dalle aziende; i rappresentanti dei lavoratori non rientrano nell’accordo e non hanno alcun ruolo nel processo di governance. I brand e i distributori non sono tenuti a pagare per il rinnovamento e la ristrutturazione delle fabbriche bengalesi ma in compenso controllano le ispezioni: scelgono gli ispettori, li pagano e regolano le visite e le perizie. «Il programma di Walmart e Gap – dicono gli attivisti – conserva intatto lo stesso modello che ha fallito per anni e che è costato la vita in questi anni a circa 2mila lavoratori e lavoratrici».

* Lettera22

Scheda: l’accordo in sintesi

L’accordo sulla sicurezza nei posti di lavoro in Banlgadesh, anche noto in origine come «Bangladesh Fire and Building Safety Agreement» è un contratto vincolante tra 70 marche e rivenditori del settore mondiale del tessile, sindacati internazionali e locali, Ong. Il suo obiettivo è il miglioramento delle condizioni di lavoro nell’industria tessile locale e il monitoraggio delle condizioni degli stabili in cui si svolge il lavoro. La versione definitiva dell’accordo è del 13 maggio scorso. I punti principali del piano sono quattro:
1) ispezioni iniziali, per identificare pericoli gravi e la necessità di riparazioni urgenti (da portare a a termine entro 9 mesi dalla firma);
2) una procedura intermedia per ottenere un intervento immediato nel caso in cui i processi d’ispezione o i rapporti dei lavoratori identifichino fabbriche che richiedono urgenti misure d’intervento;
3) avviamento delle procedure di assunzione per i posti di ispettore capo della sicurezza e del direttore esecutivo;
4) istituzione della struttura di governance tramite un comitato di direzione con un numero uguale di rappresentanti delle aziende firmatarie e dei sindacati e un comitato consultivo con ampia rappresentanza in Bangladesh.