A tenere compagnia a Lula nella sua cella di Curitiba, dov’è dal 7 aprile, è il saluto dei militanti dell’accampamento montato a duecento metri da lì, che ogni mattina e ogni sera gridano «Buongiorno, Lula!» e «Buonanotte, Lula!». Invano le autorità hanno cercato di allontanarli insieme alle tante personalità che fanno loro visita: hanno solo ottenuto di spostare nelle vicinanze la cucina e le tende per la notte, ma non le tensostrutture per le attività politiche e culturali.

Intanto un nuovo accampamento è sorto anche a Brasilia, come elemento di pressione sul potere giudiziario, nel quadro di quella complicata partita a scacchi che si gioca nei tribunali al fine di ottenere la scarcerazione dell’ex presidente. Le speranze sono tutte riposte nell’esame, da parte del Supremo Tribunale Federale, della legittimità costituzionale dell’arresto dei condannati in secondo grado, richiesto dal ministro Marco Aurélio Mello su sollecitazione, tra gli altri, del Partido Ecológico Nacional (Pen).

Il quale, dopo aver chiesto e ottenuto di posticipare di una settimana l’analisi del ricorso, è ora deciso a ritirarlo, per non rischiare di favorire l’ex presidente.

Si può star certi che la presidente della Corte suprema, Carmen Lúcia, farà tutto ciò che può – e ha un potere esteso – per impedire o ritardare l’esame del provvedimento, per timore che la maggioranza dei ministri possa pronunciarsi contro l’arresto dei condannati in secondo grado.

Come stabilisce l’articolo 5 della Costituzione, per cui «nessuno verrà considerato colpevole fino al passaggio in giudicato della sentenza di condanna».