Il vertice di Abidjan si è chiuso con l’impegno preso da Unione europea, Unione africana e Onu di svuotare i centri di detenzione libici rimpatriando i migranti che vi sono tenuti prigionieri. Un compito che dovrà svolgere l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) che nel 2016 ha favorito il ritorno dalla Libia nei Paesi di origine di 2.775 migranti. «Quest’anno abbiamo già superato i 13.600 rimpatri e penso che arriveremo a 16-17 mila entro la fine di dicembre» afferma Federico Soda, direttore dell’Ufficio di coordinamento per il Mediterraneo dell’Oim.

I rimpatri vengono già fatti, quindi quale sarebbe la novità del piano annunciato ad Abidjan?
La novità non è nel piano, ma nella volontà politica sorta in seguito al reportage della Cnn sui migranti venduti come schiavi. Una realtà che noi avevamo già denunciato ad aprile ma l’impatto avuto da quello immagini ha provocato la reazioni di alcuni organismi, inclusa l’Unione africana. Come Oim siamo in grado oggi di trasferire circa 3-4 mila persone al mese. Se avremo altre risorse, sia dal governo libico che dai Paesi africani, riusciremo a togliere molti più migranti da una situazione come quella dei centri che non è solo inaccettabile e pericolosa , ma spesso rappresenta l’unica possibilità che queste persone hanno visto che molte di loro non possono fuggire perché non hanno i documenti né i mezzi per farlo.

Per gli eritrei e i somali cosa è previsto?
Per loro, come per chiunque altro abbia un valido motivo per richiedere la protezione internazionale, il mandato è dell’Unhcr che sta cercando di realizzare un centro a Tripoli dove fare una prima valutazione delle domande di asilo per poi spostare le persone in un Paese sicuro prima di trovare un terzo Paese sicuro dove ricollocarle.
Si è parlato di una task force formata da Ue- Unione africana e Onu. Che compiti avrà? Sarà una task force politica che cercherà di aprire maggiori spazi in Libia per poter lavorare. Ma i dettagli devono ancora essere decisi.

Servono più soldi per organizzare i rimpatri?
I soldi ci vorranno. Non è un’esigenza immediata ma lo sarà presto. Oggi organizziamo quattro voli a settimana ma potremmo arrivare facilmente a uno al giorno. Ma c’è qualche ostacolo con le autorità libiche che va superato e questo include anche l’accesso a tutti i centri di detenzione. Lo stesso per gli aerei. La ragione per cui oggi abbiamo solo qualche volo alla settimana è strettamente operativa e riguarda l’aeroporto di Tripoli dove avremmo bisogno di far atterrare aerei più grandi.

Di quanti migranti stiamo parlando? Glielo chiedo perché voi avete accesso ai soli centri governativi, che sono una trentina, ma poi ci sono quelli gestiti dalla milizie.
Stimiamo che nei centri gestiti dal ministero dell’Interno libico ci siano tra i 15 mila e i 18 mila migranti. Poi ci sono tutti quelli di cui non sappiamo niente perché si trovano in luoghi non monitorati come case o altri posti privati. Pensiamo che il Libia possano esserci tra 700 e gli 800 mila stranieri, forse anche di più. Va detto però che non tutti sono in situazioni di pericolo o di sofferenza e non tutti hanno intenzione di raggiungere l’Europa. Sicuramente però le persone che hanno bisogno di assistenza sono molte centinaia di migliaia.

Alla luce di questi dati l’annuncio di voler vuotare i centri non rischia di essere solo propaganda?
Non credo. Il programma non è limitato a 20-25 mila persone. Non dimentichiamoci che nel 2011 abbiamo evacuato dalla Libia quasi 250 mila persone, quasi tutte verso il Bangladesh e le Filippine.

Ma non erano prigioniere come invece succede oggi.
E’ vero. Ovviamente in uno Stato fallito e senza strutture governative come è oggi la Libia la situazione è completamente diversa. Non la considero un’operazione di propaganda perché stiamo aiutando migliaia di persone migliorando le loro condizioni di vita. Il punto è che quando c’è qualcuno che soffre e ha bisogno di aiuto i numeri diventano in un certo senso irrilevanti. Se ne aiuti dieci o cento ovviamente cento è meglio, ma comunque quei dieci hanno ricevuto un’assistenza indispensabile. I numeri sono la propaganda degli europei, fissati su quanti sbarchi ci sono ogni giorno trascurando le questioni veramente importanti.

L’Unhcr parla di 50 mila rifugiati da ricollocare in Europa. E’ una cifra realistica viste le difficoltà sempre mostrate da molti Stati?
In questo momento non ci sono le condizioni in Europa per farlo. I 50 mila di cui parla l’Unhcr rappresentano l’esigenza, purtroppo però nella maggioranza degli Stati prevale una posizione di chiusura e siamo ancora molto, molto lontani da quei numeri.