Il parlamento israeliano ha cominciato ieri la discussione sugli emendamenti proposti dalla Ministra della Cultura Miri Regev alla Legge sul cinema del Paese, che hanno passato una prima lettura da parte della Knesset e che potrebbero venire votati nei prossimi giorni, diventando legge. Ma già ieri il dibattito è stato particolarmente acceso: i rappresentanti dell’Israeli Director’s Guild hanno lasciato l’aula per protesta, dicendosi furiosi e disgustati dalle misure proposte dai nuovi emendamenti – che comporterebbero una vera e propria censura di Stato.

Fino a oggi  infatti le sovvenzioni statali al cinema israeliano venivano elargite attraverso diversi fondi di produzione indipendenti, mentre nel disegno di legge di Regev c’è l’istituzione di un gruppo di «lettori» delle sceneggiature che rispondono direttamente al Ministero della Cultura, e che dovrebbero comporre il 70% dei selezionatori dei progetti dei vari Fondi – così non più indipendenti. E la Ministra del Likud non ha fatto mistero della sua intenzione originaria, che sarebbe stata cancellare i fondi stessi per crearne uno solo: il National Film Institute.

Né si cerca di nascondere che l’intento ultimo è ostacolare quei film che non dipingono Israele sotto una luce gradita al governo – il riferimento principale è al vincitore del Gran Premio della Giuria al Festival di Venezia 2017, Foxtrot di Samuel Maoz, contro il quale la stessa Regev si era scagliata duramente per la sua rappresentazione dell’esercito israeliano, promettendo che si sarebbe battuta affinché film del genere non ricevessero più alcuna sovvenzione statale. Questa legge, ha detto il presidente dell’associazione produttori israeliana Assaf Amir, «distruggerà il nostro cinema». Mentre un rappresentante dell’ Israel Democracy Institute ha sostenuto che porterà gli artisti «ad autocensurarsi e limiterà la libertà d’espressione».