C’era una volta non un principe né un re ma una bimbetta bionda che per i genitori era la principessa di un regno familiare d’amore e dolcezza… Inizia così, quasi a dichiarare subito il suo essere «uguale ma diverso» dall’originale di Disney Cinderella, passato in chiusura alla scorsa Berlinale, e ora in sala con il nome italiano dell’eroina fiabesca di Perrault e poi di Disney. Ma come tornare oggi alla fiaba della fanciulla bistrattata dalla matrigna e dalle orrende sorellastre, che sconfiggerà con la dolcezza conquistando il cuore del principe azzurro? Complice un piedino così leggero da entrare nella scarpetta di cristallo che ha segnato intere generazioni di ragazzine (complessate da piedi oversize). La domanda è inevitabile di fronte al film di Branagh «remake» – appunto – in versione live della Cenerentola di Disney, che segnò il ritorno all’animazione classica e al successo dello Studio dopo la crisi della guerra.

Questione di temperatura, di tocco, di sensibilità. Ma se abbiamo imparato a stare dalla parte delle «matrigne», almeno nelle fiabe, assai più interessanti delle svenevoli principessine con un retrogusto da «acque chete», Branagh con la sua Cinderella ci toglie pure questo. Difatti la matrigna borghesuccia avida e semprevedova, nonostante la stupenda Cate Blanchett, è talmente prevedibile da risultare patetica. Meglio non va a Ella (Lily James), bionda e smielata. «Sii forte e gentile» le aveva detto la mamma prima di morire, e lei lo mette in pratica ogni giorno per resistere alla meschinità della matrigna che appena il padre parte per il viaggio di lavoro che gli sarà fatale, la confina in soffitta dove Ella però è felice coi suoi amici topolini. Vestita di celeste chiaro come la Cenerentola disneyana (Disney produce) con cui condivide anche le ballerine sgualcite, la Cinderella branaghiana non ne ha però la grazia ( e nemmeno le canzoni che si ascoltano solo sui titoli di coda).

Ma a rifare quel classico capolavoro dell’animazione non bastano gli effetti speciali, dal gusto retrò con cui la Fata madrina un po’ pasticciona (Helena Bonham Carter) trasforma la zucca in carrozza e le lucertole in cocchieri e viceversa allo scadere della fatale mezzanotte.
La profusione di crescendo sviolinati nei momenti topici, le lacrime (anche quelle copiose) della povera Ella divenuta Cinderella a forza di dormire davanti al camino. Le isterie delle sorelle sgraziate e ciccione, e la scena del ballo che somiglia più a una serata di beneficenza in eurovisione che alla magia dell’amore, e la faccia del principe nel suo giardino segreto (Richard Madden) con tocchi da telenovela latinoamericana fanno il resto.

Al fantasy della terribile Jolie/Maleficent (e al 3D burtoniano) Branagh contrappone una idea di cinema americano classico (un po’ mischiato al teatro inglese), i film di grandi scontri tra figure femminili. Le sue Cenerentola e Matrigna sono una specie di Eva contro Eva, che si contendono il primato sulla scena (e dei maschi, padri, principi ecc) , e la seconda può solo odiare la prima per quella giovinezza che lei non ha più. Peccato che a Branagh manchi l’eleganza necessaria a non cadere nel luogo comune, e a liberare una crudeltà divertita (sono più cattive le ragazzine di Violetta) he sappia darci qualche sorpresa. Anche se sappiamo già tutti come andrà a finire.