Il prossimo undici novembre, arriva nelle librerie anche I racconti di Mamma Oca per le edizioni Piemme (pp. 160, euro 14). Un’edizione che raccoglie nella versione integrale, completa della morale finale, le fiabe che Charles Perrault pubblicò per la prima volta nel 1697. Ci si potrà di nuovo addentrare nel bosco cupo di Cappuccetto Rosso (che pagherà la sua avventatezza con la morte, anche se la versione più conosciuta oggi è quella tramandata dai fratelli Grimm), si andrà al ballo con Cenerentola che calzerà la sua scarpetta di cristallo (è è probabile che la nascita di questo oggetto diventato un feticcio simbolico, fosse dovuta a un errore di traduzione, attraverso lo scambio della parola «vair», una pelliccia con cui si facevano le scarpe medievali, con «ver», ossia «verre» in francese, vetro, quindi cristallo) e si inorridirà di fronte al rientro improvvisato di Barbablù a casa, pronto a punire la disubbidiente moglie.
Le atmosfere cruente e spesso horror, per nulla adatte a un auditorio infantile che poi ne divenne in realtà il principale destinatario (il pubblico prescelto all’inizio dallo scrittore stesso era quello adulto) sono riprese mirabilmente in questo volume dalla illustratrice Desideria Guicciardini, che correda le pagine con un tratto che s’impenna fra ghirigori dal sapore gotico mixato al gusto liberty. Il valore aggiunto alle celeberrime fiabe lo costituiscono proprio i suoi disegni, una pozione magica per gli occhi.
Questa edizione dei «Racconti di Mamma Oca» (Le Histoires ou contes du temps passé, avec des moralités, meglio noti come Contes de ma mère l’Oye), per non essere da meno rispetto al computer dalle funzioni multitasking e all’immaginario virtuale cui la tecnologia ci ha abituati, «apre» per i lettori alcune finestre laterali che danno informazioni sull’epoca in cui vennero scritte le fiabe, la storia e gli usi e i costumi del vivere quotidiano.
Sappiamo così che Charles Perrault (Parigi, 1628-1703), che fu uomo di potere, ricoprendo incarichi nell’amministrazione pubblica durante il regno di Luigi XIV, tende a simboleggiare la ricchezza non soltanto con oro argento e pietre preziose, ma anche con carrozze e raffinate tappezzerie, alludendo al lusso della corte del Re Sole, nella reggia di Versailles.
Scrive Silvia Vegetti Finzi, nella sua introduzione, che «se possiamo leggere con partecipazione e piacere tanto le fiabe che Charles Perrault ambienta in un ipotetico Medio Evo francese, quanto le novelle orientali de Le mille e una notte o le leggende africane e siberiane, è perché gli elementi comuni superano di gran lunga le differenze».
Pubblicate alla fine del Seicento, le fiabe dell’accademico di Francia avevano spopolato alla corte di Re Sole. Non poteva essere altrimenti: erano state trascritte in una lingua colta ed elegante, attingevano al repertorio popolare, ma erano rinforzate da creazioni in proprio. In Italia, vennero tradotte da Carlo Collodi.