Girano poco le poltrone della commissioni permanenti alla camera dei deputati. Matteo Renzi preferisce confermare le presidenze attribuite al Pd, anche quando erano state assegnate – nel maggio del 2013, inizio legislatura – a esponenti dell’allora maggioranza bersaniana ad oggi non ancora del tutto organici al renzismo. Nessuno di loro – si tratta di Francesco Boccia confermato alla guida della commissione bilancio, Guglielmo Epifani alle attività produttive e Cesare Damiano al lavoro – ha del resto mai o quasi mai trasformato le sue opinioni dissenzienti in voti contrari alle indicazioni del segretario. E difficilmente potrà farlo in futuro, visto che il capogruppo Ettore Rosato, insieme alla lista dei presidenti da votare, ha consegnato ai deputati Pd qualche anticipazione sul nuovo regolamento del gruppo: ci sarà meno spazio per i casi di coscienza.

Disarcionati i presidenti di Forza Italia eletti due anni e mezzo fa a suggello del patto del Nazareno, da ieri il Pd guida dieci commissioni su quattordici. E consegna le altre quattro caselle ai quattro alleati centristi. Andrea Mazziotti per Scelta civica guiderà la prima commissione, affari costituzionali, al posto del berlusconiano Sisto. Fabrizio Cicchitto del Nuovo centrodestra mantiene la guida della commissione esteri e il gruppo Area popolare (Ncd più Casini) guadagna anche la poltrona della commissione finanze, tolta al fittiano Capezzone e consegnata all’ex berlusconiano, poi alfaniano della prima ora per quanto (fino a ieri) inquieto, Maurizio Bernardo. Un posto infine per Mario Marazziti del gruppo che si è scisso da Scelta civica con la sigla Per l’Italia, per lui gli affari sociali. Gli ultimi due cambi premiano invece rappresentanti del Pd. A Flavia Piccoli (figlia di Flaminio) Nardelli la presidenza della commissione cultura, tolta a Giancarlo Galan che nove mesi fa ha patteggiato una condanna a due anni e dieci mesi per le tangenti Mose ed è ai domiciliari. La guida della delicata commissione difesa è invece stata assegnata a Francesco Saverio Garofani, che è un deputato assai vicino al presidente della Repubblica – e presidente del Consiglio supremo di difesa – Sergio Mattarella. Garofani ha battuto la concorrenza di Gian Piero Scanu, capogruppo del Pd in commissione e promotore della mozione sul dimezzamento degli F-35 poi disattesa dal governo. La sua indicazione non era gradita alla ministra della difesa Pinotti, che durante la presidenza Napolitano ha marciato allo stesso passo del Quirinale. Garofani però non ha raccolto i consensi di tutta la maggioranza (in teoria 28 deputati) e nemmeno di tutto il Pd (22 componenti, ma c’erano degli assenti) e si è fermato a 18 voti.

Per il presidente di commissione la camera prevede un’indennità aggiuntiva intorno ai tremila euro lordi al mese (nonché uffici più larghi), poco più di cinquecento per i vicepresidenti e poco meno di trecento per i segretari. E proprio per le poltrone di minor peso si deve registrare la polemica del Movimento 5 Stelle, che ha accusato il Pd di «anti democrazia» visto che i grillini hanno perso buona parte delle vicepresidenze conquistate nel 2013. Non tutte, come fa notare l’ex 5 stelle Zaccagnini (ora con Sel) visto che «in commissione agricoltura Pd e M5S si sono spartiti tutte le cinque poltrone», togliendo la vicepresidenza proprio a Zaccagnini. In commissione Finanze, invece, lo «scippo» è stato piuttosto il risultato di un errore dei deputati grillini, che hanno confuso i nomi e le schede bruciando in questo modo due voti utili per la vice presidenza. In ogni caso i parlamentari a 5 stelle hanno fin qui rinunciato alle indennità aggiuntive.