Non basta la riunione all’ora di pranzo a Palazzo Chigi fra i due vicepremier Di Maio e Salvini con il presidente Conte per chiudere definitivamente il puzzle del sottogoverno, a oltre tre mesi dal voto. Il premier sarebbe pronto a dare l’ok all’elenco a lungo contrattato dai due contendenti. Per compilarlo la stella polare è il manuale Cencelli versione gialloverde. Ma c’è anche la determinazione di Di Maio a non fare ancora una volta la parte del gregario: l’omologo leghista con la metà dei voti in parlamento ogni giorno manovra come se fosse l’azionista di maggioranza del governo. Dall’Europa ai migranti è il motore dell’azione, i 5 stelle rincorrono, presidente del consiglio resta non pervenuto.

Stavolta Di Maio sbatte i pugni per tenersi i dossier che ritiene cruciali: telecomunicazioni, editoria e servizi segreti. Gli va bene con le tlc, che si tiene, e per l’editoria, affidata a Vito Crimi. «È importante la delega alle telecomunicazioni, che ho deciso di tenere», scrive su facebook parlando della trattativa sulla crisi Tim.

Ma l’accordo ancora non è perfezionato. Il consiglio dei ministri convocato alle otto e mezza di sera dura venti minuti e approva una lista di 45 nomi. Sei viceministri e 39 sottosegretari, annuncia il ministro per i Rapporti con il parlamento Riccardo Fraccaro all’uscita. Giureranno oggi alle 13. Ma le deleghe arriveranno domani. Insomma: non tutti i tasselli sono a posto.

E che la trattativa sia ruvida lo si capisce nel pomeriggio. In Transatlantico i cronisti raccolgono lo sfogo del grillino Stefano Buffagni, vicinissmo a Casaleggio jr, dato in pole sia al Mise che al Mef. Sul suo nome sarebbe calato il veto di Salvini, che due anni fa l’aveva persino trascinato in tribunale per diffamazione: Buffagni gli aveva dato del componente di «una sorta di cupola» alla Regione Lombardia di Maroni, «un sistema marcio che sta infettando le istituzioni», aveva scritto sui social. Il leghista non avrebbe perdonato. Tanto più che il pentastellato è recidivo: pochi giorni fa ha tacciato per «inopportuna» la nomina di Massimo Sarmi, spinta dal Carroccio, a nuovo Ad di Cassa Depositi e Prestiti. «Non sono venuto qui perché volevo delle poltrone, sono un 5stelle duro e puro», sacramenta il deputato, «Non sono uno che accetta le mediazioni. Farò opposizione interna». In serata ogni fonte ha la sua versione: quelle vicine ai 5 stelle fanno sapere che Buffagni è stato recuperato. Altre parlano di «escluso eccellente». Così Vincenzo Spadafora: altro nome che balla fino all’ultimo.

«Oggi abbiamo portato persone competenti e di capacità: questo è il governo del cambiamento», giura Fraccaro. Competenti ma a prescindere da quello che andranno a fare: le deleghe ancora non ci sono. E per ora l’elenco dei nomi è solo un mirabile esempio di equilibrismo politico. Con M5s che prende più viceministri della Lega e viceversa la Lega che si consola con una ventina di sottosegretari.

Vice di Di Maio all’economia sarà la pentastellata Laura Castelli (evidentemente ormai perdonata per essere stata fonte di rivelazioni «anti-giggino» nella scorsa legislatura) e il leghista Massimo Garavaglia. Sottosegretari ac saranno invece Massimo Bitonci (Lega) e Alessio Villarosa (M5S). Al Mise il viceministro sarà il leghista Dario Galli. Andrea Cioffi, Davide Crippa e Michele Geraci i sottosegretari. Niente viceministri all’Interno, ma quattro sottosegretari: i leghisti Nicola Molteni e Stefano Candiani e 5stelle Luigi Gaetti e Carlo Sibilia. Sottosegretari alla difesa dovrebbero essere Angelo Tofalo del M5s e Raffaele Volpi della Lega. Sottosegretari alla giustizia Jacopo Morrone della Lega e Ferraresi del M5s.

Intanto il sottosegretario alla presidenza Giorgetti mette il Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica) e lo sport, completando il suo profilo da Luca Lotti leghista.

Ma la Lega deve rinunciare alla delega ai servizi, che resta in capo al premier Conte, almeno per ora. In attesa che il parlamento battagli sulla presidenza del Copasir, che il Pd chiede per sé e invece la Lega vuole dare a Fabio Rampelli di Fratelli d’Italia. Spacciandolo per deputato d’opposizione.