C’è molto cinema estremo orientale alla berlinale di quest’anno, da nomi che oramai hanno raggiunto una certa fama nel circuito festivaliero internazionale, ad altri che magari non sono fra i più conosciuti ma che promettono di esplorare il cinema ed i suoi limiti sempre più fluidi, fino a delle rivisitazioni e (ri)scoperte di alcuni film provenienti dall’arcipelago nipponico.

In competizione spicca il ritorno di Lav Diaz, dopo che nell’edizione di due anni fa vinse l’Orso d’Argento con A Lullaby to the Sorrowful Mystery, l’anima musicale del regista filippino degli inizi della sua carriera artistica sembra (ri)emergere in questo suo lavoro, Season of the Devil. Descritto come un anti musical e un’anti opera rock dalla durata di poco meno di quattro ore, il film segue le vicende di un rapimento di una donna durante il periodo della dittatura Marcos, così tragicamente importante per il regista filippino e la sua poetica, ed è scandito da 33 brani scritti da Diaz stesso. Nella sezione Forum troviamo Midi Z con il suo 14 Apples, regista nato in Myanmar ma di origini cinesi e cresciuto a Taiwan, che trasporta questa sua transnazionalità e capacità di attraversare e riconfigurare i confini anche nel cinema, spesso infatti i suoi lavori appartengono sia al genere documentario che al cinema di finzione senza incasellarsi pero’ in nessun genere. Arriva direttamente dal PIa Film Festival, la manifestazione dedicata al jishu eiga, il cinema indipendente giapponese, che dal 1977 in poi ha scoperto e lanciato più di qualche importante cineasta come Sion Sono, Shin’ya Tsukamoto e Yuya Ishii, Amiko, di Yoko Yamanaka. Presentato anch’esso in Forum, il film si sviluppa in poco più di un’ora dove attraverso il monologo interiore di una ragazza, si racconta l’ossessione, anche comica, della giovane verso un suo compagno di scuola scappato improvvisamente.

Forse il cineasta estremo orientale che più di tutti in questi ultimimissimi anni ha contribuito ad alzare l’asticella di certo cinema autoriale è stato Hong Sangsoo. Dopo On the Beach at Night Alone e The Day After, il regista sudcoreano presenta, sempre nella sezione Forum, Grass, storia melanconica ambientata nel microcosmo di un piccolo bar, dove gli avventori di un piccolo bar gestito da un amante di musica classica si incrociano e scambiano opinioni, il ruolo della protagonista è ancora occupato da Kim Minhee, che a Berlino vinse l’orso d’Argento come miglior attrice l’anno scorso. Di tutt’altro genere Inland Sea, documentario con cui Kazuhiro Soda, uno dei migliori registi di nonfiction giapponesi, osserva la vita di un piccolo villlaggio portuale lontano dalle grandi metropoli e da Tokyo, città che troppo spesso appiattisce e divora l’immagine del Giappone, anche letteralmente, se si ricorda la tragedia nucleare del 2011, quando le centrali di Fukushima funzionavano, e funzionano ancora oggi, come batteria energetica per la capitale. Lo stesso Soda assieme ad altri registi e studenti dell’Universita del Michigan, fra cui lo studioso americano Markus Abé Nornes, porta a berlino nella Settimana della critica anche The Big House, documentario che osserva la vita che gira attoro al Michigan Stadium, il più grande stadio di football americano del mondo, uno spicchio di vita quotidiana dove sono contenute e riflesse molte delle tensioni e delle caratteristiche che contribuiscono a formare la società statunitense contemporanea.

Nella sezione Panorama spicca invece il nome del sudcoreano Kim Ki-duk, autore di pellicole con le quali ha conquistato il pubblico e la critica internazionale come Spring, Summer, Fall, Winter … and Spring e Pietà, a Berlino il regista sarà presente con Human, Space, Time and Human, ambientato in una nave da guerra, micromondo che permette al regista di esplorare i limiti della morale e delle emozioni delle varie persone a bordo. Altro nome importante a Berlino è quello di Kiyoshi Kurosawa, il giapponese porterà nella città tedesca Yocho (Foreboding), la versione per il grande schermo della serie televisiva da lui stesso realizzata e trasmessa in Giappone lo scorso anno. Si tratta di un lavoro che accompagna ed espande l’universo esplorato in Before We Vanish, tutti e due i lavori sono infatti tratti da un’opera teatrale di Tomohiro Maekawa, ma il tema principale di entrambi, dell’invasione aliena, in questo lavoro è decisamente descritta con toni più cupi e tendenti all’horror.

Berlinale Special Gala offrirà al pubblico la possibilità di vedere in anteprima Monster Hunt 2, il sequel della pellicola con cui Raman Hui distrusse tutti i record al botteghino cinese nel 2015, record a sua volta battuto nei due anni sucessivi da tre altri film, ed il documentario/concerto Ryuichi Sakamoto: async at the Park Avenue Armory, filmato in occasione di un concerto del famoso compositore e musicista giapponese a New York lo scorso aprile.

Completano l’ampia selezione dedicata al cinema estremo orientale Tokyo Twilight, pellicola restaurata per l’occasione in 4K e con cui Yasujiro Ozu nel 1957 ritorna alla tematica lui cara del disfacimento della famiglia tradizionale, ma con toni qui più cupi e drammatici, alquanto diversi da quelli a cui ci ha abituato il regista giapponese. Sempre per restare nell’arcipelago, da non perdere Gushing Prayer, sperimentazione erotica targata Masao Adachi del 1971 e Inflatable Sex Doll of the Wastelands, pink eiga di culto formalmente fra i più liberi ed anarchici mai creati, diretto nel 1967 dal genio di Atsushi Yamatoya, già collaboratore di Seijun Suzuki e sceneggiatore di altri capolavori acidi del cinema nipponico. Conclude il trittico giapponese la riscoperta di Yama, Attack to Attack! documentario girato fra il 1984 ed il 1985, dove l’esplorazione delle condizioni di vita degli abitanti di San’ya, un moderno slum a Tokyo, costarono la vita prima a Mitsuo Sato, regista del film, e poi a Kyoichi Yamaoka, che prese il posto dietro la macchina da presa, entrambi uccisi dalla yakuza.