«Recentemente qualcuno ha fatto notare che in via Rasella non c’è alcuna targa commemorativa di un fatto così importante nella storia moderna di Roma. Poco male».

Così con il suo stile asciutto ed essenziale che nulla concedeva all’enfasi su vicende drammatiche che avevano segnato la sua vita, Rosario Bentivegna rispondeva a chi gli chiedeva di “rivendicare” con una targa l’attacco militarmente più importante compiuto da formazioni partigiane in una capitale dell’Europa occupata dai nazisti nel 1943-1945.

Un uomo così avrebbe guardato perplesso, magari liquidandola con una battuta romana fulminante, la vicenda delle sue ceneri che i giornali nelle ultime settimane hanno più volte riproposto.

Bentivegna era tanto convinto di non essere un eroe quanto di rappresentare un personaggio scomodo nell’Italia strabica del revisionismo antipartigiano. Così dal 1990 cominciò a redigere le sue “Disposizioni” in caso di malattia o morte, correggendole fino al 2007.

È un testo privato, che la sua quarantennale compagna di vita Patrizia Toraldo di Francia concede, nelle sue parti “pubbliche” e pubblicabili a Il Manifesto proprio per far pronunciare al diretto interessato, che in tutta la sua vita certamente non delegò mai nessuno a parlare al suo posto, le parole definitive sulle sue volontà.

Bentivegna che nella sua lunga vita ha fatto soprattutto il medico, perchè fin da ragazzo aveva avuto lo scopo di “salvare le vite e non di toglierle”, scrisse di rifiutare in caso di malattia“categoricamente ogni accanimento terapeutico” che lo mantenesse in vita ma ne inficiasse “l’autonomia, la dignità sociale, familiare e soprattutto intellettuale”.

Nelle disposizioni trovate postume tra le sue carte il partigiano “Paolo” consapevole che neppure la sua morte avrebbe evitato polemiche chiese di non allestire camere ardenti o veglie funebri per timore che una tale rappresentazione pubblica esponesse familiari, compagni e amici ad attacchi da fronteggiare stavolta in sua assenza.

Le esequie laiche nel Palazzo della Provincia di Roma gli resero omaggio pubblico lo stesso, e chi le organizzò sarebbe pronto a subire come sempre il suo rimbrotto bonario, mentre i lontani e sparuti echi d’insulto di sgherri e figuri vari dell’estrema destra non trovarono nessuno interessato ad ascoltarli.

Il suo testamento civile Bentivegna lo scrisse insieme con Michela Ponzani nel suo libro “Senza fare di necessità virtù” e nell’ultima intervista rilasciata ad una troupe francese a cui rispose pronto alla domanda su cosa gli fosse rimasto della sua esperienza:

“La resistenza mi ha lasciato prima di tutto l’orgoglio di aver fatto il mio dovere fino in fondo. Ho pagato un prezzo personale per questo ma ho sempre sentito di avere con me la parte migliore di questo paese.”

Il suo testamento personale invece, all’ultimo punto, recita dolce:

“Possibilmente non mi mettete in una tomba o dietro una lapide. Ciao, di nuovo, a tutti. Sasà”.