Il presidente russo Vladimir Putin ha fatto sapere che non parteciperà alle celebrazioni in Polonia per il 70esimo anniversario della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz il 27 gennaio. Secondo quanto trapelato, il presidente russo non sarebbe stato invitato dalla Polonia, ma come ha precisato il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov «solitamente non vengono mandati inviti ufficiali per questi eventi».
La decisione di non partecipare alle celebrazioni, sarebbe stata causato dunque dall’attuale crisi ucraina. Si tratta di un gesto forte, compiuto per la prima volta da un leader russo, che non sarà così presente per ricordare al mondo e all’Europa, l’azione con cui l’Armata rossa liberò il campo di sterminio nazista, 70 anni fa.

In pratica, Putin ha commesso un grave errore. Proprio in questo momento, con la Russia che si sente accerchiata e sotto il tiro di sanzioni e di una guerra del petrolio che pare non avere termine, Putin avrebbe dovuto sottolineare l’importanza storica del paese che guida, non regalando ai suoi avversarsi una ghiotta opportunità di visibilità – e di critica – come questa.

Di sicuro i rapporti tra Polonia e Russia non sono dei migliori, con il governo di Varsavia che spinge fin dall’inizio della crisi ucraina, in favore di un intervento sempre più determinato della Nato contro Mosca e la decisione di Putin sembra derivare in gran parte da questo deteriorarsi costante delle relazioni con l’Europa.

E del resto la situazione in Ucraina non sembra volgere al meglio, anzi. Si è ripreso a combattere, tra Kiev e le regioni orientali, senza che le precedenti tregue abbiano cambiato il corso degli eventi. Ieri un colpo di artiglieria avrebbe colpito un bus a Buhas, nell’Ucraina orientale, uccidendo almeno sei civili e provocando numerosi feriti.

Lo ha riferito l’esercito ucraino secondo quanto riportato nel pomeriggio da Bbc e da Al Jazeera. L’incidente sarebbe avvenuto ad un posto di blocco governativo a circa 35 chilometri a sud ovest della roccaforte ribelle di Donetsk. Secondo le prime ricostruzioni fornite dai militari, il bus trasportava civili provenienti dalla città costiera di Mariupol. I ribelli avrebbero specificato di non essere i responsabili dell’agguato: un altro evento che finisce nel tritacarne storico di una guerra dai molti lati oscuri e non ancora spiegati.

Proprio ieri si è saputo che le indagini per identificare i membri delle forze dell’ordine e i civili che hanno picchiato e torturato i manifestanti durante le proteste di Maidan, a Kiev, sarebbero a un punto morto.

Lo ha rivelato, in un rapporto preliminare, il Comitato per la prevenzione della tortura (Cpt) del Consiglio d’Europa. Basandosi sulle informazioni raccolte in Ucraina tra il 9 e 16 settembre 2014, il Comitato afferma che le indagini sono in una fase di «stallo», ma anche che «sembrerebbe che sinora si sia impedito ai procuratori di condurre indagini efficaci».

Le ragioni di questo «stallo» sono spiegate dallo stesso Cpt per l’impossibilità, almeno sinora, d’identificare i responsabili dei pestaggi dei manifestanti nella quasi totalità dei casi. Inoltre gli inquirenti stanno avendo grande difficoltà a ottenere informazioni sul dispiegamento dei vari reparti coinvolti nei fatti.

Alcuni dei documenti inerenti queste operazioni, denuncia il Cpt, sono stati classificati come «segreti».

Infine il capitolo Yanukovich: ieri l’Interpol ha fatto sapere di aver respinto la richiesta delle nuove autorità di Kiev di inserire il deposto presidente ucraino Viktor Yanukovich e altri notabili del suo entourage nella lista dei ricercati internazionali con l’accusa di omicidio.

L’ex capo di Stato, l’ex premier Mikola Azarov e altri personaggi a loro vicini sono comunque stati inseriti recentemente dall’Interpol tra i ricercati internazionali, ma per appropriazione indebita e malversazione.