Sostegno alla natalità e alla famiglia, soldi alla scuola cattolica, difesa della vita. Lotta alla povertà, alla disoccupazione e al lavoro precario, accoglienza dei migranti. È il programma elettorale della Conferenza episcopale italiana presentato ieri dal suo presidente, il cardinal Gualtiero Bassetti, nella prolusione di apertura al Consiglio episcopale permanente. Con la precisazione che «la Chiesa non è un partito e non stringe accordi con alcun soggetto politico», «dialoga» ma «non negozia». Si limita ad elencare le proprie priorità, saranno le forze politiche ad accoglierle o meno. Ben sapendo che, in un sistema in cui nessun partito può autoproclamarsi cattolico con la benedizione delle gerarchie ecclesiastiche, tenteranno un po’ tutti di adeguarsi, per ricevere quanto meno un placet. Ce n’è per tutti, a destra e a manca.

Si parte con un appello generico e alto a «ricostruire», non solo le case distrutte dal terremoto («non possiamo dimenticare quelle migliaia di persone che hanno perso tutto») ma «il Paese»; ad «unire» e «ricucire la società italiana»; a «pacificare» un Paese «segnato da un clima di rancore sociale», alimentato da una complessa congiuntura economica, da una diffusa precarietà lavorativa e dall’emergere di paure collettive». E con l’invito a «superare ogni motivo di sfiducia e di disaffezione per partecipare» al voto.

Si prosegue con un severo richiamo alla destra di Salvini, non nominata ma chiaramente identificata, grazie alle recenti esternazioni di Attilio Fontana (Lega), candidato presidente della Lombardia per il centrodestra, sulla difesa della «razza italiana». «Quest’anno ci ricorda una pagina buia della storia del nostro Paese: le leggi razziali del 1938», dice Bassetti. «Bisogna reagire a una cultura della paura che, seppur in taluni casi comprensibile, non può mai tramutarsi in xenofobia o addirittura evocare discorsi sulla razza che pensavamo fossero sepolti definitivamente». La conseguenza pare chiara: fede cattolica e voto alla destra xenofoba di Salvini (e degli altri che in questi giorni hanno appoggiato Fontana) sono incompatibili.

Quindi si entra nel merito. Politiche per il lavoro: «creare lavoro, combattere la precarietà e rendere compatibile il tempo di lavoro con il tempo degli affetti e del riposo», riassunte dallo slogan – un po’ populista – «lavorare meglio, lavorare tutti». E lotta alla povertà, considerando che – Bassetti illustra i dati – oltre un milione e mezzo vivono una «condizione di povertà assoluta delle famiglie, con un aumento del 97% rispetto a dieci anni fa».
Quando poi il presidente della Cei illustra i temi più cari ai vescovi (i vecchi e mai abbandonati “principi non negoziabili” di Ratzinger, Ruini, Bagnasco) diventa estremamente puntuale e circostanziato. Innanzitutto sostegno alla famiglia, traducendo in atti il «Patto per la natalità, presentato la scorsa settimana dal Forum delle associazioni familiari», ben accolto da «tutti gli esponenti di partito: chiediamo che alle dichiarazioni compiaciute segua la volontà concreta di porre le politiche familiari come priorità all’interno dei vari programmi in vista delle elezioni».

Cosa chiede il Patto? «Serie e strutturali politiche economiche e fiscali a favore delle famiglie, sostegni concreti alla natalità». Poi finanziamenti per le scuole paritarie cattoliche, «ancora in attesa dell’adempimento di promesse relative a sostegni doverosi, da cui dipende la loro stessa sopravvivenza». Infine «difesa della vita», con la richiesta di alcune correzioni alla legge sulle Dat (testamento biologico), come la «salvaguardia dell’obiezione di coscienza».

Sono punti che sembrano contrapporre sinistra e destra (lavoro, povertà e migranti da una parte, famiglia, scuola cattolica e difesa della vita dall’altra) ma che per Bassetti identificano il «bene comune» e devono camminare insieme: «Non è in alcun modo giustificabile chiudere gli occhi su un aspetto e considerare una parte come il tutto». Quasi una chiamata alle “larghe intese”: «È auspicabile l’impegno di tutte le persone di buona volontà, chiamate a superare le pur giustificate differenze ideologiche per raggiungere una reale collaborazione».