Cecilia Alemani era già approdata in Laguna nel 2017 sulla scia del Mondo magico di Ernesto De Martino, proponendo un padiglione italiano quasi zen, che evitava i bazaar e gli accumuli di nomi per indirizzare lo sguardo su tre protagonisti (in quel caso erano Giorgio Andreotta Calò, Roberto Cuoghi e Adelita Husni-Bey). La linea scelta, l’unico fil rouge che intrecciasse gli «invitati», era quella dei capricci dell’immaginario e della conseguente apertura dei confini.
Adesso si annuncia un suo ritorno, questa volta per vestire i panni della direttrice dei giochi tra Giardini, Corderie e Arsenale. A una manciata di giorni dalla scadenza del suo mandato, prima della burocratica «prorogatio», il Cda della Biennale di Venezia presieduto da Paolo Baratta ha ritenuto «non più procrastinabile» la nomina (in genere, durante il bilancio dell’edizione appena conclusa si raggiungeva un accordo sul candidato/a successivo/a) e ha incaricato Alemani di imbastire la prossima «architettura visiva» della Mostra internazionale, che si svolgerà da maggio a novembre 2021 (le date di inaugurazione e finissage sono ancora da definire). «Come prima donna italiana a rivestire questa posizione (…) mi riprometto di dare voce ad artiste e artisti per realizzare progetti unici che riflettano le loro visioni e la nostra società», ha commentato a caldo. Nata a Milano nel 1977, curatrice indipendente di mostre, direttrice del programma di arte pubblica della High Line di New York (dove vive con Massimiliano Gioni, altro «ex» in Biennale con il suo Palazzo Enciclopedico), Cecilia Alemani ha una formazione filosofica che l’ha portata a selezionare nel mondo gli spazi più sperimentali – il Ps1 o X Initiative – e artisti come Nari Ward, Zoe Leonard, Adrián Villar Rojas.