Che Carlo Cecchi sia, oltre che un attore straordinario, anche un importante «intellettuale» del teatro è cosa nota. Una vita intera sulla scena sta a dimostrarlo. Ora però, prendendosi quasi una libertà per una fuga in Duo assieme al compositore e pianista Nicola Piovani (un premio oscar, autore di musiche di film importanti, da Benigni a Nanni Moretti), spinge quella sua ricchezza oltre il teatro, conferendo alle parole che recita un valore assoluto.

Solo loro due in scena, qualche leggìo e il pianoforte a coda, scoperto, al centro. Una immagine degna di una grande concert hall, e che rappresenta una prestigiosa copertina per Le Vie dei Festival, nel cui ambito ha avuto luogo la serata al Vascello. Solo per alcuni brani li raggiungeva in scena il flautista Alessio Mancini. Altrimenti sono solo le parole di uno a dialogare con la musica dell’altro.

Il sodalizio tra l’attore e il musicista risale ai primi spettacoli che fecero conoscere Cecchi a Roma, in particolare a certe meravigliose e irresistibili farse di Antonio Petito al Beat 72. E in effetti, dopo tanti anni, è una intesa perfetta e navigata quella che permette a Piovani di «intervenire» al pianoforte tra i testi, tutti «puntuti» ed emozionanti, che Cecchi va leggendo.

Allo spettatore pare di non aver mai letto in profondità Il poeta delle ceneri in cui Pasolini si autorappresenta per un giornalista americano a metà degli anni 60: c’è tutta la sua storia, da Casarsa alla poesia, dal padre mai amato alla madre adorata, al fratello partigiano ucciso da partigiani. E c’è già il suo futuro, a cominciare da un Pilade che deve ancora scrivere per il teatro, ma che già rispecchia la sua personale scelta (originale e per nulla convenzionale) tra l’arcaico desiderio di vendetta di Elettra e la democrazia futura e formale di Oreste. La lettura di Cecchi ci porta sicura nei meandri di quel pensiero, nelle volute della sessualità, nella gigantesca personalità del poeta.

Così come subito dopo accade per le parole di Elsa Morante, di cui ripercorriamo gli Infelici Molti e i Felici Pochi compresi ne Il mondo salvato dai ragazzini. La scrittrice è stata, come Eduardo sulla scena e forse anche Cesare Garboli in campo letterario, una dei maestri privilegiati di Cecchi. E forse per quella storica intimità di pensiero, anche in quelle parole sembrano affiorare ora echi imprevisti, allusioni che si erano sopite, moralità dispiegate. Anche se uguale «confidenza» l’attore mostra con Shakespeare, che non è dovuta solo all’averlo portato in scena: il monologo di Amleto agli attori per la recita al castello, si fa dichiarazione programmatica di una scelta di vita, in teatro e fuori, e precetto e strumento di conoscenza e verità senza confini.

Piovani si insinua in quelle parole, costruisce un ambiente sonoro ai versi di Umberto Saba, ribatte quasi, alle parole che andiamo udendo. Un doppio modulo artistico cui il pubblico italiano è poco abituato, ma dalla forza indomabile. Di cui è parte non piccola il piacere di quell’ascolto alternato. Che si fa godimento puro, divertimento incontenibile, alle due canzoni che costituiscono i bis della soirée.

Canzoni napoletane d’autore della prima metà del novecento, galeotte e maliziose, costruite e popolari, che con la musicalità della lingua e l’insospettata grazia canora dell’attore, fanno entrare con entusiasmo tutto il pubblico nell’ambito eletto del Duo Cecchi-Piovani.