Parlando la scorsa settimana della crisi libica e di cosa questa comporti per le migliaia di sfollati e migranti che si trovano nel paese nordafricano, l’alto commissario per i rifugiati Filippo Grandi non aveva usato giri di parole: «Il rischio per le loro vite cresce di ora in ora, devono essere urgentemente portati in salvo», aveva detto. Per poi aggiungere, a beneficio di quanti dovessero far finta di non capire: «Mettiamola in maniera semplice: è questione di vita o di morte». Ieri l’Oim, l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, ha aggiornato i numeri della crisi: 18.250 sfollati e almeno 3.600 migranti detenuti nei centri gestiti da Tripoli. «In Libia c’è una crisi umanitaria e in questi casi la cosa più importante e urgente è mettere al sicuro le persone» conferma Carlotta Sami, portavoce per il Sud Europa dell’Unhcr. «Da mesi diciamo che la Libia non è un Paese sicuro, adesso però la situazione è precipitata. Le parti che si confrontano militarmente devono sospendere lo scontro armato in modo da poter mettere al sicuro tutti i civili, sia i libici che i migranti e i rifugiati che si trovano nei centri di detenzione».

Come Unhcr avete chiesto in particolare la liberazione dei migranti che si trovano nei centri di detenzione più a rischio a causa dei combattimenti.
Esatto, si tratta di 1.500 persone detenute nei centri di AinZara, Qasr Bin Ghasheer e Abu Sleim, a sud di Tripoli, che sono al centro degli scontri. Per queste persone abbiamo chiesto alle autorità libiche di rilasciarle e di metterle in sicurezza.

Che risposta avete avuto?
Per il momento nessuna, ma speriamo che le autorità ci aiutino almeno a spostare le persone, come abbiamo fatto con 150 rifugiati del centro di Aim Zara che abbiamo portato nella nostra struttura. E’ una situazione molto difficile perché al momento abbiamo difficoltà ad accedere a questi centri ma anche, per motivi di sicurezza delle strade, a trasferire le persone senza ulteriori rischi per la loro vita. Purtroppo sono limitate anche le evacuazioni fuori dalla Libia.

Più di 18 mila sfollati libici ai quali si aggiungono i migranti. In Italia c’è molto allarme per una possibile ripresa degli sbarchi.
E’ un’evenienza alla quale ovviamente bisogna tenersi pronti. L’Italia in passato ha dato prova di essere in grado di gestire anche numeri molto alti di arrivi. Certo sarebbe meglio se la comunità internazionale di fronte a questa crisi riuscisse a organizzare dei corridoi umanitari piuttosto che pensare che i trafficanti possano trarre ulteriore vantaggio da questa situazione buttando la gente in mare.

Il ministro degli Interni Salvini dice che chi scappa dalla guerra lo fa in aereo e non con i barconi.
Se l’Italia aprisse gli aeroporti vorrebbe dire che acconsentirebbe ad organizzare dei corridoi umanitari. Detto questo stiamo parlando di circa 1.500 persone che sono intrappolate in questi tre centri, dunque non di grandi numeri ma di vite umane, ognuna delle quali conta. In ogni caso l’Italia è firmataria della Convenzione di Ginevra e se arriva una persona che per qualsiasi motivo presenta domanda di asilo, l’Italia è tenuta a dare accesso a questa domanda.

L’Unione europea mostra difficoltà ad organizzare un sistema di accoglienza, come dimostrano anche le difficoltà che incontrano le navi delle ong.
Anche di fronte a quanto accade in Libia sarebbe estremamente urgente trovare un accordo su un meccanismo di salvataggio e di sbarco, cosa alla quale purtroppo non si è arrivati in tutti questi mesi. E questo è un grande elemento di debolezza perché senza un sistema concordato di condivisione delle responsabilità si rischia di mettere l’Unione europea in una situazione di impreparazione. Speriamo che quanto successo in passato, ad esempio rispetto alla crisi siriana e a quanto accaduto in Grecia, sia piuttosto da monito nel trovare un accordo unitario, perché è assolutamente necessario. E che ci sia anche la capacità in tutto il Mediterraneo di rendersi conto di quanto è instabile la situazione libica e quanto è necessario che ci sia invece un piano di ripartizione e di condivisione in termini di sbarco e accoglienza su tutti i Paesi sicuri dell’area.