Una parte della liquidità prestata alle imprese sarà a fondo perduto ha avvertito la Banda d’Italia in una video audizione ieri alla Camera. Le insolvenze sui 450 miliardi di euro di garanzie pubbliche attivate dai decreti del governo “potrebbero anche superare quelli del biennio 2012-2013, quando si avvicinarono al 10 per cento». Anche i debiti, accesi per far fronte alla crisi, non saranno immediatamente ripagati al termine dell’emergenza sanitaria. Per il governo ciò imporrà la ricerca di un equilibrio tra due opposte esigenze: quella di erogare le risorse alle imprese con meccanismi semplici, trasparenti e automatici da parte dello Stato al fine di coprire le perdite di fatturato causate dal blocco per coronavirus; dall’altra parte c’è la tutela del bilancio dello stato che ha bisogno di garanzie per coprire i prestiti «ad elevatissimo rischio di non essere onorati». Il «decreto liquidità» varato dal governo non ha escluso «la possibilità di una valutazione di merito da parte dei finanziatori», ma le banche hanno «adottato prassi eterogenee: alcune erogano il finanziamento dopo avere effettuato un riscontro formale della completezza della documentazione prevista; altre hanno definito anche un processo, più o meno semplificato, per la valutazione del merito di credito della clientela».

Le difficoltà poste dalle banche nella concessione dei prestiti, ha spiegato Bankitalia, sono motivate dalla volontà di non incorrere nel rischio dei reati connessi con una anomala erogazione del credito, un rischio che è in relazione inversa con il merito di credito del debitore. Una soluzione potrebbe essere quella di rendere più chiari i presupposti e riducendo gli ambiti di discrezionalità dei soggetti finanziatori. In questo modo si velocizzerebbe il processo di erogazione dei fondi «arginando il rischio legale per la banca». Per velocizzare la richiesta dei prestiti alle banche coperti da garanzie pubbliche dei fondi Bankitalia ha suggerito agli imprenditori un uso «più esteso» dell’autocertificazione ritenuta utile per «attestare la sussistenza dei requisiti per l’accesso al finanziamento».

Uno studio dell’Inps e Banca d’Italia pubblicato ieri ha monitorato lo stato dei pagamenti del bonus da 600 euro stabilito dal decreto «Cura Italia» a oltre 3,4 milioni di partite Iva. La spesa complessiva. È, al momento, di due miliardi di euro. Gran parte di queste erogazioni è avvenuta tra il 14 e il 23 aprile, la maggioranza ha riguardato i lavoratori autonomi (69,5%) e i dipendenti a tempo determinato dell’agricoltura (15,4%). Una quota marginale ha interessato i lavoratori dello spettacolo (0,7%). Si stima che il bonus ammonti a circa un terzo del reddito mensile netto per gli autonomi, a circa la metà per gli stagionali del turismo e ai due terzi per i lavoratori temporanei dell’agricoltura, mentre non è possibile ottenere una stima per le partite Iva. Quasi due terzi dei beneficiari sono uomini, le donne sono la metà delle partite Iva, dei co.co.co. e dei lavoratori stagionali del turismo. L’età media dei beneficiari è 46 anni (45,6 per le donne, 46,3 per gli uomini), i più numerosi sono i 45-54enni (32,8%). Sono meno i giovani con un’età inferiore dei 25 anni e i lavoratori ultrasessantacinquenni (3% e 2,2%). I giovani sono più presenti tra gli addetti al turismo, i più maturi tra gli autonomi. Le regioni maggiormente interessate sono state Lombardia, Puglia e Sicilia che hanno ricevuto quasi un terzo dei sussidi, seguite da Emilia Romagna, Veneto e Campania. Chi ha avuto più difficoltà ad accedere al bonus vive nei territori con connessioni internet più difficoltose, nelle zone montane del N