«La storia insegna che quando i popoli barattano la propria libertà in cambio di promesse di ordine e di tutela, gli avvenimenti prendono sempre una piega tragica e distruttiva». Come aveva fatto alla vigilia del 25 aprile, anche ieri Sergio Mattarella si scosta dai discorsi di circostanza e pronuncia al presente il significato del 74esimo anniversario della Liberazione. Il presidente della Repubblica apre le commemorazioni ufficiali in mattinata con la deposizione della corona sulla tomba del Milite ignoto, a Roma. Al fianco ha il presidente del consiglio Conte, impegnato da ore in uno slalom fra i duellanti di governo Salvini e Di Maio. «Oggi è importante festeggiare» concede ai cronisti, perché la Liberazione «è la festa di tutti» e manda in bianco chi gli chiede del leader leghista che invece ha disertato le occasioni ufficiali per inaugurare un commissariato di polizia a Corleone. «È un giorno di festa, non facciamo polemiche», (non), risponde anche quando, con la sindaca Raggi e la ministra della difesa Trenta, va alle Fosse Ardeatine a rendere omaggio ai 335 trucidati nell’eccidio del 24 marzo ’44.

CONTE NON RIESCE a trovare le parole, neanche la Liberazione per lui vale il rischio di accendere altre polemiche nel suo esecutivo spaccato e in bilico. È invece Mattarella a parlare più esplicitamente del solito da Vittorio Veneto, dopo un bagno di folla che testimonia che è il capo dello stato la figura istituzionale di riferimento della giornata. È un 25 aprile particolare, fra striscioni inneggianti a Mussolini (Milano) e definizioni lunari che vengono dalle stesse istituzioni, come quella di Salvini per il quale «è un derby fascisti contro comunisti». Mattarella dice il contrario. La memoria è «un dovere morale e civile», gli eventi della Resistenza «compongono l’identità della nostra nazione da cui non si può prescindere per il futuro».

DESCRIVE COME IL PAESE si avviò al fascismo. «Nel ventennio non era permesso avere un pensiero autonomo, si doveva soltanto credere. Credere, in modo acritico e assoluto, alle parole d’ordine del regime, alle sue menzogne, alla sua pervasiva propaganda. Bisognava poi obbedire a ordini che impartivano di odiare: gli ebrei, i dissidenti, i Paesi stranieri. L’ossessione del nemico, sempre», l’uso della violenza. Poi ricorda come il paese si liberò e elenca, nel dettaglio, i protagonisti. Compone il romanzo corale della Liberazione. «Contadini, operai, intellettuali, studenti, militari, religiosi costituirono il movimento della Resistenza», «Azionisti, socialisti, liberali, comunisti, cattolici, monarchici e anche molti ex fascisti delusi» e i tanti militari che scelsero di finire nei campi di concentramento piuttosto che «l’onta di servire Salò». E ancora la resistenza civile di chi «offrì aiuti, cibo, informazioni, vie di fuga ai partigiani e a militari alleati, chi si prodigò per salvare la vita degli ebrei, rischiando la propria» Mattarella sceglie di unire il paese in una descrizione della comune «rivolta morale», apporto decisivo alla lotta partigiana. Una storia che insegna «oggi come allora» che « c’è bisogno di donne e uomini liberi e fieri che non chinino la testa di fronte a chi, con la violenza, con il terrorismo, con il fanatismo religioso, vorrebbe farci tornare a epoche oscure, imponendoci un destino di asservimento, di terrore e di odio». Che il presidente rappresenti, oggi più che mai, l’unità della nazione si vede persino in rete dove l’ hashtag #Mattarella diventa trend topic di twitter.

LA STORIA INSEGNA, MA NON tutti studiano. E per gli alleati litiganti del governo è solo l’occasione per marcare distinguo. La Lega non partecipa alle commemorazioni. Solo un candidato alle europee fa mostra di sé all’appuntamento della comunità ebraica di Roma, alla sinagoga di Via Balbo. Matteo Salvini è a Corleone, da dove tenta di non reinfilarsi nei guai. «Mi sono imposto a non rispondere a polemiche e provocazioni, è la giornata della pace», dice poi in un comizio a Bagheria. Ma all’indirizzo del locale sindaco pentastellato scocca: «L’onestà è importante ma all’onestà va accompagnata la capacità».

PRIMA, DA VIA BALBO, Di Maio aveva sparato contro di lui ad alzo zero scoprendosi partigiano per l’occasione. «Parola d’ordine ’unione’ sui nostri valori fondanti, sulla Costituzione e sui nostri nonni che ci hanno liberato», aveva detto, «Divide chi non vuole festeggiarlo». Ma dalla Resistenza alla resistenza del sottosegretario Siri è un attimo. «Si deve dimettere e se non lo fa chiederemo a nome del governo di farlo, anche al presidente del Consiglio», sibila, «Puoi anche andare a Corleone a dire che vuoi liberare il Paese dalla mafia, ma per farlo devi evitare che la politica abbia anche solo un’ombra legata a inchieste su corruzione e mafia