Quando stava per uscire il primo numero del manifesto, Pintor mi mostrò la prima pagina in bozza. «Che bello!» gridai, affascinato e entusiasta. Allora il desiderio di comunismo traversava i nostri discorsi, e concordavamo che il socialismo reale era finito, che la socialdemocrazia era stata ingoiata e sputata fuori come macchina d’assoggettamento dal mostro capitalista; ma che, nonostante questo, l’esperienza comunista di lotta e di pensiero poteva essere rinnovata.

Quanto è lontano quel momento. Molti di noi non ci sono più, altri si sono consumati nel tempo seguito ai favolosi Settanta. Poi ci sono stati anni di disagio morale e di sdegno intellettuale nei quali anche solo la resistenza fu impervia.

Il manifesto ha tenuto. Guerra di posizione? Certamente, ma non senza qualche incursione aggressiva sulle terre desolate dalla lunga crisi che il neoliberalismo imponeva ai soggetti. Così è riuscito – vado alla rinfusa – a difendere i compagni nella lunga fase della repressione (quando in carcere ricevevamo il manifesto, era un momento di leggera, ironica riapertura di speranza – e si sa quanto l’ironia fosse necessaria per sopravvivere in quelle condizioni).

Spesso ce l’ha fatta a testimoniare la continuità ininterrotta delle lotte; poi ha costruito, assieme ai protagonisti e alle protagoniste, i nuovi fronti dell’emancipazione di genere e dell’integrazione dei migranti.

Sempre ha agganciato l’analisi delle vicende italiane ed europee a quella della politica internazionale e del riscatto del Terzo Mondo. E poi tante altre cose, vissute tra il desiderio di comunismo e l’esperienza della crisi.

Sono stato fra quelli che hanno lamentato che nel manifesto la sofferenza della crisi oscurasse il desiderio comunista. E’ vero tuttavia che ciascuno di noi apprese, anche in questo caso, una lezione di realismo – che i vecchi fondatori, a noi, sempre giovani militanti, vollero trasmettere.

Continuiamo dunque con l’avventura del manifesto. Tanto più perché cominciamo a sentire che il tempo della sconfitta, della caduta delle illusioni, e dell’esaurirsi dell’impazienza rivoluzionaria, sta terminando.

Abboniamoci – c’è qualcosa di nuovo oggi nell’aria che emerge dalle tenebre.

Abboniamoci al manifesto: lasceremo ai giovani che vengono un bel cavallino di legno.