“Incomprensibile”, dice la presidente della Camera Laura Boldrini. Il suo sbigottimento, l’altro giorno, si è tradotto in una promessa fatta ai parenti di Federico Aldrovandi, Aldo Bianzino, Dino Burdoni, Stefano Cucchi, Michele Ferulli, Franco Mastrogiovanni e Giuseppe Uva. Sono i familiari di alcuni cittadini morti mentre erano in “stato di restrizione”, cioè nelle mani dello Stato, mani sporche di sangue. Sono alcuni “esempi” drammaticamente noti, cronaca recente dell’involuzione autoritaria delle istituzioni a partire dalla “macelleria messicana” della scuola Diaz e dalle torture di Bolzaneto: persone massacrate in caserma, ematomi cerebrali, fegato e milza rotti, costole fratturate, denti spezzati. Torture. Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, è convinta che la presidente della Camera non li lascerà soli e che finalmente si “potrà portare avanti questa battaglia”.

Di incomprensibile, ammette Laura Boldrini, c’è il fatto che l’Italia rifiuta di includere il reato di tortura nel proprio codice, dopo aver ratificato la convenzione Onu contro la tortura nel 1988: sono passati 25 anni e molti governi, di centrodestra e di centrosinistra. “Scandaloso”, rincara la dose il capogruppo del Pd al Senato Luigi Zanda rivolgendosi alla commissione Giustizia affinché si arrivi “in tempi rapidi” all’attuazione della direttiva europea per la tutela delle vittime del reato di tortura.

Ma come si giustifica questo ritardo? I motivi sono semplici. Chi in parlamento si oppone e vota contro lo fa per proteggere sempre e comunque le “forze dell’ordine”, che altrimenti potrebbero essere incriminate per tortura e non solo per lesioni o reati più blandi. Inoltre per i partiti, perennemente in campagna elettorale, la questione forse non è cosa troppo spendibile sul piano politico, nonostante la Corte Europea abbia ripetutamente condannato l’Italia per le violenze subite dai rom, per il respingimento degli immigrati in mare, per le condizioni scandalose dei Centri di identificazione ed espulsione e per lo stato delle nostre carceri.

Questa è l’impietosa fotografia che emerge dall’ultimo rapporto di Amnesty International (2013) dove l’Italia si trova in pessima compagnia, figurando tra i 159 paesi dove non sono stati rispettati i diritti umani (112 paesi hanno torturato i loro cittadini). “Anche quest’anno – è il commento di Antonio Marchese, presidente di Amnesty Italia – il capitolo dedicato all’Italia testimonia di una progressiva erosione dei diritti umani, di ritardi e vuoti legislativi non colmati, di violazioni gravi e costanti se non in peggioramento. Una situazione con molte ombre, tra cui l’allarmante livello raggiunto dalla violenza omicida contro le donne, gli ostacoli che incontra chi chiede verità e giustizia per coloro che sono morti mentre si trovavano nelle mani di agenti dello stato o sono stati torturati o maltrattati in custodia, la stigmatizzazione pubblica sempre più accesa di chi è diverso dalla maggioranza per colore della pelle o origine etnica”.

Non sembra un paese civile. I rom continuano a subire discriminazioni, ad essere segregati o sgomberati in assenza di soluzioni abitative. La strategia nazionale per l’inclusione dei rom, presentata a febbraio, è rimasta lettera morta (da nord a sud non si contano gli episodi di ordinario razzismo). Molti rifugiati e richiedenti asilo, inclusi i minorenni, continuano a vivere in condizioni inaccettabili, e per questo alcuni tribunali europei hanno addirittura bloccato il rinvio di alcuni rifugiati in Italia. Le condizioni dei Cie dove sono detenuti i migranti senza permesso di soggiorno – lo testimoniano tutte le rare ispezioni effettuate – sono al di sotto degli standard internazionali. Più volte – lo ha stabilito la corte europea dei diritti umani – l’Italia ha violato gli obblighi sanciti dal diritto internazionale respingendo in alto mare profughi che provenivano da zone di guerra, persone che una volta rimpatriate rischiavano la tortura (Libia, Egitto, Tunisia). E ancora. A settembre, il Parlamento europeo ha esortato l’Italia a rivelare tutte le informazioni necessarie in merito ai voli sospetti legati ai programmi di rendition e detenzione della Cia (caso Abu Omar, con la condanna in appello di 22 agenti della Cia).

Del capitolo “uccisioni illegali”, abbiamo già detto. E c’è poco altro da aggiungere.