Come effetto della ripresa in atto c’è una gran fame di acciaio, in Italia come in tutta Europa. Ma il governo “dei migliori” sembra non rendersene conto, continuando a rinviare l’annunciato Piano nazionale della siderurgia. Un piano che dovrebbe dare risposte sia all’interminabile stallo delle Acciaierie di Piombino che al futuro dello stabilimento Ast di Terni. Così, alla vigilia dell’odierno incontro fra il ministro Giorgetti e le organizzazioni sindacali, incentrato solo su Taranto, le tute blu toscane sono tornate a bussare alla porta del Mise, incontrando i tecnici della viceministra Alessandra Todde e denunciando che, dopo tante promesse, dal 13 maggio scorso l’esecutivo di Mario Draghi non ha più dato cenni di vita.
“L’iniziativa di mobilitazione – ha spiegato al termine dell’incontro il responsabile nazionale siderurgia della Fiom Cgil, Gianni Venturi – ha fatto conquistare un tavolo di confronto entro la fine del mese, interrompendo un assordante e inaccettabile silenzio del governo”. Per il resto però, come al solito, ci sono più incognite che certezze. A tal punto che la Fiom ha puntualizzato che le ipotesi attualmente in campo sono più funzionali a spartirsi le spoglie delle Acciaierie che non a offrire una strategia. “Da parte nostra – ribadisce Venturi – abbiamo chiarito che ogni possibile progetto non può prescindere dall’avere una caratteristica di fondo: un ciclo combinato di colata e laminazione. Piombino non solo non deve chiudere, ma deve produrre e trasformare acciaio”.
Il problema è che Jindal South West, che nel 2018 ha acquistato dal governo le Acciaierie in amministrazione straordinaria, in tre anni ha fatto poco o nulla. E ora non ha intenzione di tirar fuori un euro, aspettando solo un intervento statale. “Per questo – chiude Venturi – abbiamo chiesto al governo prima di tutto di rendere chiari gli intenti e i vincoli del signor Jindal”. Mentre in parallelo, di fronte a problemi di natura finanziaria dell’altro stabilimento siderurgico piombinese, Liberty Magona, il Mise ha assicurato un monitoraggio attivo sul rispetto degli impegni assunti da Arcelor Mittal, dopo che nei mesi scorsi la multinazionale ha bloccato le forniture di coils, rivendicando un credito milionario verso il gruppo Liberty.
Nella siderurgia si va comunque avanti a colpi di annunci e assicurazioni, invece che di progetti compiuti. Questo almeno il giudizio di Francesca Re David, che dall’Umbria ha guardato ai tanti interrogativi sulla compravendita di Ast, e poi ha parlato della situazione complessiva: “Ci troviamo in una condizione molto complicata – ha tirato le somme la segretaria generale della Fiom – perché immaginiamo che il governo stia discutendo un piano della siderurgia, ma noi non ne sappiamo assolutamente nulla, siamo tagliati fuori. Immaginiamo che ci siano dentro le tre grandi acciaierie che hanno un’origine e una storia nelle partecipazioni statali, e che sono una ricchezza per il Paese. Ma questa mancanza di chiarezza su tutto quello che accade, e sull’acciaio in particolare, ci preoccupa moltissimo”.
Anche perché i dazi sull’esportazione di acciaio, già messi in atto dalla Russia e con la Cina che ci sta seriamente pensando, stanno facendo alzare a livelli record i prezzi, sull’onda di una domanda crescente. Parola degli analisti del gruppo Arvedi, che festeggiano i guadagni del 2020 e annotano: “Nei primi mesi del 2021 è proseguito il trend incrementale della domanda sul mercato dell’acciaio, che aveva già caratterizzato la seconda metà dell’esercizio 2020, grazie alla ripresa dei principali settori utilizzatori a livello europeo e nazionale”.