Quando si entra nel lussuoso palazzo che ospita il comune di Barcellona, la Casa de la Ciutat, in pieno centro, proprio dove si incrociavano il cardo e il decumano della Barcino romana, è difficile non essere sopraffatto dalla ricchezza delle decorazioni, alcune delle quali risalgono al XIV secolo. Per arrivare allo spartano studio dove lavora la sindaca, si passa tra l’altro per l’imponente Salone dei Cento, dove Ada Colau, ancora incredula, prese possesso della città il 13 giugno 2015. È passato più di un anno, ma la sindaca ha mantenuto la sua vicinanza e l’informalità. “Dammi del tu”, dice subito.

Iniziamo dalle domande difficili. Dove sono finiti il milione di persone che vi appoggiavano a dicembre?

Le spiegazioni sono molte, e c’è della verità in tutte. La stanchezza di molte persone, soprattutto le più vulnerabili e colpite dalla crisi che sentono lontane le istituzioni; i troppi appuntamenti elettorali in un anno; la delusione per la mancata formazione di un governo. Sicuramente non siamo stati abbastanza bravi nella gestione di questi sei mesi, senza personalizzare gli errori, che sono collettivi. Ma certamente c’è anche stato un Psoe che non ha ancora interiorizzato che non è più egemonico a sinistra, che è diviso al suo interno. Si può anche considerare che siamo stati arroganti, ma se loro non volevano parlare…

E ora che succede?

C’è stato un ciclo di cambiamento, e non possiamo ignorarlo. Abbiamo fallito nel nostro obiettivo di superare il Pp. Ma stanno succedendo cose che due anni fa sembravano impossibili, forze di sinistra e plurali si sono imposte con un buon risultato. Ora tocca lavorare per la trasformazione sociale. I grandi cambiamenti non sono mai solo elettorali, c’è bisogno di lavorare dentro e fuori le istituzioni per consolidare questo cambiamento che è necessario più che mai, qui e in Europa. C’è un rigurgito di razzismo, paura, di forze di destra estrema. Dobbiamo essere massimamente esemplari. Siamo venuti non solo per chiudere l’epoca del bipartitismo, ma per dimostrare che si può fare politica in un altro modo, senza corruzione, dando protagonismo ai cittadini, ai loro diritti sociali. Nei comuni del cambiamento dobbiamo dimostrare non solo di saper governare, ma di saperlo fare meglio. C’è in gioco la vita delle persone più vulnerabili, c’è un futuro europeo incerto.

Perché a Barcellona e da altre parte coi socialisti siete arrivati a un accordo e a Madrid no?

Il Psoe ha diverse anime e deve decidere se rimanere ancorato al passato o unirsi alle forze del cambiamento. Noi qui avevamo vinto, ma in minoranza (solo 11 consiglieri su 40, ndr). Per fare quello che vogliamo fare, dobbiamo negoziare. È il mandato che ci hanno dato i cittadini. E si negozia con chi c’è, con chi hanno scelto i cittadini, non con chi vuoi tu. Quest’anno abbiamo approvato variazioni di bilancio, ordinanze fiscali, piani urbanistici. E lo abbiamo fatto con le forze di sinistra, lavorando con chi ha maggiore sintonia programmatica, per obiettivi e non per sigle politiche, dimostrando che le forze del cambiamento sono più capaci di agglutinare consensi.

Quando siete arrivati eravate troppo ottimisti?

Molti erano scettici e pensavano che non ce l’avremo fatta governare una città grande e complessa come Barcellona. Eccoci qui, un anno dopo, governando bene, con il dialogo. Non tutto si può fare rapidamente come vorresti. Ma accidenti quanto siamo riusciti a fare! Abbiamo approvato un bilancio, ordinanze fiscali, un piano per i quartieri da 150 milioni per intervenire per ridare dignità a 15 quartieri più colpiti dalla disuguaglianza. Stiamo cambiando radicalmente la politica di contrattazione del comune, che rappresenta pur sempre il 5% del PIL. Abbiamo introdotto clausole sociali, sulla conciliazione del lavoro, clausole vincolanti che impediscono che le imprese possano avere beni in paradisi fiscali. In tutti i contratti di telefonia mobile obblighiamo alla rintracciabilità dei materiali. Abbiamo imposto un limite alla contrattazione diretta: una sola impresa non potrà ottenere più di 200mila euro, cosa che favorisce la piccola e media impresa. Abbiamo aumentato l’Ici solo al 2% più ricco. Abbiamo sfidato l’austerità del ministro delle finanze Montoro decretando come “servizi essenziali” educazione e sanità, e questo ci ha permesso di contrattare 2000 nuovi professionisti. Abbiamo adottato un codice etico, pubblichiamo le nostre agende, abbiamo limitato consulenti e salari… L’opposizione ci ha impedito di abbassarci lo stipendio, ma noi lo abbiamo fatto lo stesso, accantonando la parte che ci siamo impegnati a non percepire in un fondo sociale che Barcelona en comú deciderà come spendere.

Non sono state tutte rose e fiori. Un tema controverso per tutti: i venditori ambulanti.

La cosa più difficile per me è la lentezza della macchina. Abbiamo ottenuto 550 appartamenti dalle banche – in tutta la scorsa legislatura erano stati solo 19 – e sembra che hai fatto la cosa più difficile. Ma poi devono essere a norma, bisogna riabilitarli, approvare la spesa… e passano mesi. Venendo ai venditori ambulanti, è un problema complesso, e certo non solo di Barcellona. Finora l’unica risposta era stata la polizia. Ma questo non risolve il problema, che non è solo l’occupazione dello spazio pubblico, su cui hanno competenza i nostri vigili. Coinvolge le reti internazionali illegali che lucrano su questa vendita fino ai più deboli, i migranti senza documenti che non hanno alternative. Abbiamo introdotto una complessità nella risposta, che non dà risultati immediati. Oltre ai vigili, abbiamo iniziato a creare corsi per le persone senza documenti (per ora 40 a fronte di un migliaio di venditori, ndr) e chiediamo alle altre amministrazioni di fare la loro parte, per esempio per intervenire sul traffico internazionale, o sui magazzini. I 40 posti sono un inizio e per quelli che si trovano in una situazione di vulnerabilità giuridica per colpa di una legge ingiusta. Noi siamo anche per la chiusura dei CIE, abbiamo reso più semplice diventare residenti, cosa che apre le porte alla sanità e all’educazione. L’approccio è integrale.

Alcuni piani per il futuro?

La lotta per i diritti e contro la disuguaglianza continuerà a essere un asse d’azione su molti fronti. Oggi (ieri, ndr) abbiamo presentato un piano per migliorare l’equipaggiamento sanitario nei quartieri più poveri. Abbiamo progettato 2000 appartamenti sociali. Stiamo riorientando la politica turistica della città, abbiamo trovato una situazione fuori controllo, con aumento di appartamenti turistici da bolla immobiliare. Stiamo preparando un piano di sviluppo ordinato, dove potranno crescere in periferia e non in centro, e senza mandare via la gente. E poi le politiche ambientali: non solo il tram per la Diagonal (un grande asse viario, ndr) che è stato un nostro cavallo di battaglia e che costruiremo, ma triplicheremo le corsie per le biciclette garantendo sicurezza di ciclisti e pedoni. E poi l’aumento delle zone verdi e la riabilitazione degli edifici per migliorare l’efficienza energetica.

Uno dei vostri obiettivi era “femminizzare” la politica. Ci siete riusciti?

Femminizzare la politica non è solo avere più donne in politica. È cambiare priorità e valori, fare una politica più cooperativa, in rete, promovendo leadership congiunte, facendo vedere che ci sono altre persone valide, non un capo unico. Per la conciliazione siamo anni luce di distanza. Essere sindaca è un privilegio, un onore, sto imparando moltissimo e mi piace molto. Ma è inconciliabile con una vita normale, di madre, di cittadina e di persona che si realizza anche in ambiti fuori dal lavoro. E vale lo stesso per la mia squadra. Anche la presenza negli atti pubblici diventa incompatibile per come io intendo la politica, perché non hai più tempo di scendere in strada o passeggiare nei quartieri. Ma questo non si cambia da un giorno all’altro.

Da sindaca hai ricevuto insulti pubblici (“pescivendola” o “lava i pavimenti”) e persino un tentativo di molestia sessuale. Ti ha sorpreso?

No, perché viviamo in un paese ancora molto maschilista e classista. Molti non sopportano che una donna di origine umile occupi un posto come questo. Ti trattano come un’intrusa. Ma io dico sempre che era peggio quando non ero famosa. Per questo mi sento responsabile di rendere pubblici questi episodi, per far capire che se succedono persino a una sindaca, immaginiamoci le anonime lavoratrici precarie che non arrivano a fine mese. Guardiamoci allo specchio, perché questa è la nostra quotidianità. C’è ancora molto da fare per eradicare il maschilismo dal nostro paese.