Mentre la testa del corteo scende dal Pincio e riempie piazza del Popolo, il premier Paolo Gentiloni si materializza nel retropalco in mezzo a un plotoncino di telecamere. Abbraccia Carla Nespolo, la presidente dell’Anpi, elogia i manifestanti a cui per ovvie ragioni non si è potuto unire (già solo la sua presenza qui ha messo in fibrillazione gli apparati del Viminale): «È un corteo molto importante», dice, «c’è bisogno di sicurezza e legalità. Quello di oggi è un bellissimo messaggio, un messaggio costituzionale, bello l’impegno anche in una giornata un po’ piovosa di tante persone arrivate da tante parti d’Italia. È un messaggio che rassicura».

MATTEO RENZI appare dal nulla e si infila nel retropalco nel momento esatto in cui Gentiloni se ne va. Scelta ben orchestrata, i due non si tolgono la scena e le tv, si incrociano giusto per un attimo, abbraccio sotto la pioggia, flash. Anche il segretario Pd, come il premier eppure senza le sue ragioni istituzionali, non si è fatto vedere al concentramento del suo partito in piazza della Repubblica. I dem si radunano dietro lo striscione «Antifascisti sempre, per i diritti e per la sicurezza». Ci sono Matteo Orfini, il ministro Orlando con Gianni Cuperlo, Emanuele Fiano, Luigi Zanda, Walter Verini. Più avanti l’ex sindaco di Roma Walter Veltroni e il presidente della Regione Nicola Zingaretti con i candidati delle sue liste. Fra i militanti chiedi del segretario nazionale e ricevi sorrisi. Il segretario nazionale temeva i fischi e per evitarli si è andato a nascondere nel retropalco, luogo dello struscio fra politici e giornalisti.

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MA GLI ORGANIZZATORI non fanno polemiche. Oggi si difende tutti insieme la Costituzione, ieri (dicembre 2016) buona parte di questa piazza era per il no al referendum. «E non abbiamo cambiato idea, noi», dice Francesca Chiavacci presidente Arci. Ma qui è stata garantita accoglienza piena al leader Pd. «Una piazza come questa è troppo importante» sorride Carlo Ghezzi, del comitato nazionale Anpi. «Noi eravamo anche al corteo di Macerata», dice Francesca Re David, segretaria Fiom, «Il fascismo e il razzismo prevedono la diseguaglianza come elemento strutturale e anche per questo noi siamo ostinatamente antifascisti».

DIETRO AL PALCO c’è anche mezzo governo. Il ministro Martina, le ministre Fedeli e Finocchiaro, la ministra Pinotti che tenta di aprirsi un varco nel circo mediatico intorno a Gentiloni, «vorrei salutarlo, si può?». E invece incrocia la staffetta partigiana Luciana Romoli che le fa una severa maternale: «Nelle medaglie che ha dato a noi partigiani ha scritto il suo nome, ministro Roberta Pinotti: perché non quello di ciascuno di noi?».

AL CORTEO I PARTITI – e i candidati – ci sono. Ma non si vedono. Si notano poco. La legge non consente l’esibizione di simboli elettorali durante le manifestazioni «itineranti» (solo nei comizi autorizzati) e per i partiti è stato un sollievo: niente gara a chi ha più bandiere.

Quelli che hanno aderito alla manifestazione sono quattro: Pd, Leu (cioè Mdp e Sinistra italiana), Prc (in lista con Potere al popolo che il 10 era al corteo di Macerata e oggi non a Roma, per non confondersi con «l’antifascismo elettorale») e Pci (ex Pdci-Pcdi). Come a Macerata, ci sono anche i radicali di +Europa.

LE SINISTRE SFILANO nello stesso corteo, unite sull’antifascismo. Ma a scanso equivoci si sono date appuntamenti a lati opposti dell’Esedra. Non si incontrano, il corteo è lo stesso ma ciascuno va per la sua strada.

Liberi e uguali vanta di essere stata già in piazza a Macerata, qui schiera Bersani, Fratoianni, Speranza, Fassina, D’Attorre. La presidente Laura Boldrini, con la sciarpa rossa regala da un’attivista dei centri antiviolenza, ormai talismano della sua campagna elettorale, firma l’appello per lo scioglimento delle organizzazioni neofasciste. E avverte: «L’antifascismo è pacifista, i violenti non si azzardino ad usarlo come scusa». Bersani è della stessa opinione: «Chi è fuori dalla Costituzione è fuori, e se uno fa il saluto romano e ha quei simboli non può partecipare alle elezioni: bisogna dirlo con chiarezza. Chi non è venuto oggi in piazza ha sbagliato».

È UNA DELLE RICHIESTE della piattaforma della manifestazione, è anche per questo che i 5 stelle non l’hanno firmata (ma la sindaca di Roma Raggi ha inviato in piazza il gonfalone della Capitale e il vicesindaco Bergamo con la fascia tricolore, lei è in Messico per motivi istituzionali). Piero Grasso cerca di schivare le telecamere («Sono venuto per partecipare alla manifestazione»), ma è un ex magistrato e puntualizza sullo scioglimento: «C’è una procedura, con sentenza e poi decreto del ministero dell’Interno, e queste valutazioni devono essere avviate dagli organi competenti. Il nostro non può che essere un giudizio politico. Ed è che chi inneggia all’odio razziale non può che essere fascista».

IN PIAZZA Maurizio Acerbo, segretario Prc, tiene al braccio la partigiana Tina Costa, classe ’26, che chiede di «mettere fuori legge le bande fasciste». «A una settimana dal voto governo e Pd si sono svegliati, hanno scoperto che ci sono i fascisti», attacca Acerbo. «Il ministro Minniti e gli esecutivi Pd non hanno mosso un dito anzi hanno usato le forze di polizia, come Scelba negli anni 50, per garantire la propaganda fascista. Tre anni fa fummo tra i promotori di una campagna che raccolse 30mila firme per lo scioglimento delle organizzazioni in aperto contrasto con la Carta. L’antifascismo è una cosa seria e non va agitato a fini elettorali. Quello del Pd è poco credibile».