Quasi 700 milioni di utile sono infatti l’effetto di un vero e proprio regalo che il ministero del Tesoro ha fatto a Cdp. Cassa Depositi e Prestiti, come sappiamo, raccoglie, attraverso la controllata Poste Italiane, 250 miliardi di euro dai cittadini risparmiatori; quasi 150 di questi vengono depositati nella Tesoreria del ministero dell’Economia per far fronte alle scadenze di pagamento degli interessi sul debito pubblico. In anni passati, con tassi di interesse molto più elevati, Cdp ricavava un buon margine di profitto tra il costo della raccolta del risparmio che doveva riconoscere a Poste Italiane e gli interessi percepiti dal Tesoro. Ma dal 2015, la progressiva discesa dei tassi d’interesse, unita alla necessità di ridefinire il contratto con Poste Italiane, rendendolo più favorevole a quest’ultima in funzione della privatizzazione, ha drasticamente ridotto i margini per Cdp. Ed ecco l’aiutino provvidenziale: Il ministero ricontratta nel 2016 il tasso attivo con Cdp riconoscendo a quest’ultima un rialzo del 0,45%, da cui scaturiscono i 700 milioni di cui sopra. Il secondo aiutino è avvenuto proprio con la privatizzazione di Poste Italiane, la cui quota del 35% è stata acquisita da Cdp, che può di conseguenza metterne a bilancio, proporzionalmente, i relativi utili.

Le magnifiche sorti e progressive di Cassa Depositi e Prestiti sono di conseguenza null’altro che una sorta di «artifici» contabili, in cui chi davvero guadagna sono le Fondazioni bancarie, che con il loro 18% di capitale sociale partecipano alla distribuzione dei dividendi. Siamo d’altronde in un Paese che è riuscito a passare dal 74,5% di controllo pubblico sulle banche (1992) all’odierno zero assoluto e che dunque ha deciso da tre decenni, di consegnare alle stesse ogni autonomia sulle scelte di politica economica.

Dunque nessuna sorpresa per la notizia che arriva da Brescia, dove il Comune ha finalmente fatto causa a Cdp per interessi da usura su un prestito contratto nel 2012 con tasso al 5,69%, caricato da un derivato – che si attiva in caso di recesso anticipato – che comporta penali in ascesa, oggi arrivate a 81 milioni su un mutuo di 126.

Per un ente che dal 1850 al 2003 (quando era pubblico e con una chiara funzione sociale) aveva l’unico compito di finanziare a tasso agevolato gli investimenti degli enti locali, si tratta del più evidente dei paradossi.

Ma il vero paradosso resta quello che riguarda direttamente i cittadini che affidano i risparmi a Cassa Depositi e Prestiti: soldi, frutto del lavoro di oltre 20 milioni di persone, che servono a finanziare le privatizzazioni dei servizi pubblici locali e le dismissioni del patrimonio pubblico dei Comuni, ovvero ciò che i cittadini stessi avversano in ogni città e in ogni territorio.

La questione della rottura della trappola del debito e della socializzazione del sistema bancario e finanziario – a partire da Cassa Depositi e Prestiti – torna prepotentemente d’attualità.