Il vertice saltato senza ulteriori spiegazioni? «Non sapevo che fosse stato convocato, non so neanche che sia stato sconvocato». Il vicepremier leghista Matteo Salvini cade dalle nuvole o finge di farlo. Di certo non era un ospite opzionale in quel vertice convocato all’improvviso dal presidente del consiglio Giuseppe Conte per le 15 di ieri e altrettanto improvvisamente cancellato. Dovevano arrivare in tre, lo stesso Salvini, il collega vicepremier Luigi Di Maio e il ministro del Tesoro Giovanni Tria. Si è presentato solo quest’ultimo.

IMPEGNI DEL PENTASTELLATO occupato col decreto Dignità, recita la spiegazione ufficiosa. Ma a confermare i dubbi di reticenza ci pensa la mente economica del Carroccio, Giancarlo Giorgetti, con un quasi esplicito: «Leggete l’intervista di Conte al Fatto: c’è una procedura, chiedete a chi la gestisce». Il riferimento è a quanto Giuseppe Conte aveva dichiarato al quotidiano: «Il ministro competente propone. Io ne parlo con i vicepremier e decidiamo insieme. Se non c’è accordo rinviamo per trovare una persona migliore». Il vertice, insomma, è saltato perché sarebbe servito solo a certificare che l’accordo sui vertici della Cassa depositi e prestiti e della Rai non c’è. Salvini, anche in questo caso, sfugge: «Scannapieco fuori gioco per la Cassa depositi e prestiti? Chiedete ad altri, io queste cose le seguo poco».

EPPURE PROPRIO la candidatura di Dario Scannapieco ad amministratore delegato della Cassa è la vera pietra di uno scandalo che va molto oltre l’abituale valzer delle poltrone. C’è anche quello, perché quando si tratta di posti non c’è cambiamento che tenga. La Lega vuole le Ferrovie per Giuseppe Bonomi, leghista della prima ora, eletto alla Camera nel 1994, poi presidente della Sea, la società di gestione aeroportuale che si occupa di Linate e Malpensa.
Anche a viale Mazzini c’è un braccio di ferro in corso perché il Carroccio non si accontenta della presidenza per la sua candidata Giovanna Bianchi Clerici in cambio di un ad in quota 5Stelle e insiste invece per la guida dell’ammiraglia dell’informazione, il Tg1.

Sin qui è repertorio, come anche l’uso di bloccare una nomina finché non si è certi di ottenere in cambio le poltrone richieste. Ma quando si tratta di Cassa depositi e prestiti la posta in gioco è molto più alta e il confronto non è più tra i due soci contraenti della maggioranza ma piuttosto tra loro e la terza componente della maggioranza stessa:i tecnici di fiducia del Colle e di Bruxelles. Insomma il ministro Tria. Scannapieco è il suo candidato, ma gode anche della piena approvazione del presidente della Banca centrale europea Mario Draghi.

L’IDEA DI ASSEGNARE A LUI la postazione centrale, affiancato da Fabrizio Palermo gradito al Movimento 5 Stelle come direttore generale, significherebbe blindarla, con le chiavi in mano a un rigorista. Per la maggioranza vorrebbe dire perdere l’ultima risorsa per sostenere le proprie riforme, come ha del resto in più occasioni dichiarato Di Maio.
Solo la potenza economica della Cdp, 367 miliardi di attivo, possibilità di attivare investimenti per parecchie decine di miliardi, potrebbe infatti permettere di aggirare il blocco della Commissione europea, della Bce e del Fondo monetario internazionale, cioè della troika, alle misure inserite nel contratto da M5S e Lega.

Il pollice verso della Commissione Ue e della Bce era già noto. Ieri è arrivato quello dell’Fmi: «In Italia il nuovo governo preferisce misure fiscali e di spesa che, se applicate nella loro interezza, provocherebbero una significativa espansione fiscale, in contrasto con la sostenibilità del debito». Il riferimento è alla Flat Tax e al reddito di cittadinanza, ma va da sé che ogni intervento sulla Fornero sarebbe preso anche peggio, per non parlare di misure contro il precariato e quindi contro il Jobs Act, che dovrebbe anzi essere esteso. Il Fondo suggerisce infatti di «estendere i nuovi contratti del Jobs Act a tutti i contratti a tempo indeterminato nel settore privato».

SI CAPISCONO FACILMENTE sia il veto congiunto di Lega e 5 Stelle alla nomina di Scassapieco sia la resistenza che oppone il ministro Tria, consapevole di essere ogni giorno di più nel mirino dei partiti che lo hanno nominato. Al posto di Scassapieco il Movimento 5 Stelle vorrebbe Palermo senza più sdoppiamento delle cariche, ma qui è la Lega a resistere. Perché se la cassaforte sarà aperta, ci sarà poi da stabilire a quali investimenti dare la priorità.
L’esito di un braccio di ferro decisivo per Matteo Salvini e Luigi Di Maio arriverà solo il 24 luglio, quando si riunirà l’assemblea di Cdp.