Cda Rai, la Gasparri piace a tutti
Riforma Boschi annuncia un maxiemendamento in senato. Il sottosegretario Giacomelli la corregge ma la sostanza resta: la legge passa quando vorrà Renzi. Forza Italia e M5S pronti a prendersi i posti nel «consiglio transitorio»
Riforma Boschi annuncia un maxiemendamento in senato. Il sottosegretario Giacomelli la corregge ma la sostanza resta: la legge passa quando vorrà Renzi. Forza Italia e M5S pronti a prendersi i posti nel «consiglio transitorio»
Rallentando per poi accelerare. Il senato avrebbe dovuto iniziare ieri a votare gli emendamenti sulla riforma Rai. Tutto rinviato: a data da destinarsi quanto all’inizio delle votazioni in aula. Certissimo invece l’arrivo: il prossimo 31 luglio. Significa che quasi certamente l’aula di palazzo Madama dovrà lavorare anche di venerdì e lunedì. «Un contingentamento di fatto dei tempi», chiosa Loredana De Petris, Sel, e nessuno potrebbe darle torto. In effetti la stessa cosa hanno ripetuto per oltre un’ora, in aula, i senatori di tutti i gruppi d’opposizione, chiedendo al presidente Grasso di impedire un contingentamento che strangolerà il dibattito su un tema tanto nevralgico quanto la libertà di informazione e il controllo della politica sul servizio pubblico. Ma si sa che in questi casi palazzo Chigi può sempre contare sulla piena complicità, pardon solidarietà, del secondo cittadino dello Stato. La data ordinata da Renzi non si tocca.
La legge sembrava dover tornare al Senato riscritta da un maxiemendamento del governo. Questo aveva annunciato l’ineffabile ministra Boschi di fronte alla conferenza dei capigruppo di palazzo Madama. O questo almeno avevano capito tutti i presenti. «Sarà sostitutivo, ma non interamente», aveva anche chiarito la ministra. In serata, invece, il sottosegretario Giacomelli correggeva, o forse ingranava la retromarcia: «La ministra è stata fraintesa. Voleva in realtà dire che non ci sarà nessun maxiemendamento e nessun voto di fiducia. Il governo presenterà emendamenti specifici, senza toccare l’impianto della legge».
In realtà, il giallo è inesistente. Se anche fosse stato presentato, il maxiemendamento in questione avrebbe modificato qualche particolare della legge e sarebbe servito solo a falcidiare gli emendamenti, al momento un migliaio e passa. In parte l’obiettivo verrà raggiunto comunque con i nuovi emendamenti, e se non basterà si troverà qualche altra strada. Ma sul voto nei tempi ordinati da Matteo Renzi di dubbi non ce ne sono.
Subito dopo, il testo passerà alla Camera, dove Renzi non ha mai nulla da temere. In ogni caso, l’approvazione non arriverà in tempo per le nuove nomine dei vertici di viale Mazzini, scadute già a metà maggio. Ma non è questione di calendario: ci fosse la volontà politica di applicare subito la nuova governance, una via si troverebbe. La scelta di nominare i prossimi vertici con le norme dettate dalla Gasparri è politica, frutto di un accordo con Fi al quale sembra guardare senza troppa antipatia anche l’M5S.
Da palazzo Chigi ammettono a mezza bocca: sì i nuovi vertici saranno nominati con la Gasparri, ma potrebbero essere «transitori». Chiacchiere. L’inconfessato accordo serve a garantire una maggiore presenza delle forze d’opposizione nel prossimo cda ma deve anche permettere al governo di usare i posti a disposizione per accontentare gli alleati minori. La transitorietà non sarà breve.
Il senso dell’operazione è palese. Le principali forze d’opposizione incamereranno un consigliere d’amministrazione e avranno la quasi certezza di non affrontare le prossime elezioni politiche, che arrivino nel 2018 o l’anno prima, senza una Rai ancora più governativa di come era ai tempi indimenticati di Ettore Bernabei. In cambio ridurranno a miagolio i ruggiti d’opposizione promessi. Gli stessi pentastellati erano pronti a spingersi più in là nella trattativa con il governo. «In fondo – confessava in privato uno di loro – per noi l’importante sarebbe soprattutto rivedere le norme sulle nomine dei consiglieri e in particolare l’importanza dei curricula». Non che si tratti di un capitolo secondario, per carità. Però trattandosi di una riforma che consegna il servizio pubblico al governo non sembra trattarsi precisamente della discriminante.
A proposito di curricula: se c’è un particolare che su questa riforma dice tutto, è proprio che mentre i suddetti saranno necessari per scegliere direttori e funzionari vari, l’amministratore delegato, in pratica una specie di superdirettore con poteri quasi assoluti, potrà farne a meno. Il solo requisito davvero necessario sarà l’essere considerato completamente affidabile da parte del governo.
Un ritorno a prima del 1975, come sostiene l’ex sottosegretario Vincenzo Vita? In parte sì. Ma potrebbe anche andare peggio. Ettore Bernabei, per quanto di totale fedeltà allo scudocrociato, capiva di televisione e la sua Rai, fatta salva l’informazione di regime, era di qualità invidiabile. Non è affatto detto che il prossimo plenipotenziario possa vantare le stesse competenze. L’aria che tira (e i nomi che si sussurrano) indicano invece la volontà di individuare un aziendalista, di quelli che sanno sforbiciare a volontà, esperti nel management ma digiuni di media e tv. Sarebbe la ciliegina sulla torta. L’estremo passo necessario per assassinare il servizio pubblico.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento