Stallo era e stallo resta. Il cda, riunitosi di nuovo ieri mattina, non ha potuto far altro che prendere atto dell’impossibilità di fare qualcosa. La consigliera in quota Pd Borioni ha proposto di eleggere un nuovo presidente. Ipotesi cassata seduta stante: senza accordo preventivo non prenderebbe i voti della Vigilanza. Foa, ormai consigliere anziano, aspetta «le decisioni dell’azionista», cioè del ministro Tria il quale a propria volta aspetta. Non ha alcuna intenzione di muovere un passo senza un preventivo accordo tra i partiti che metta un eventuale nuovo consigliere indicato dal tesoro e candidato alla presidenza al riparo dalla fucilazione in commissione di Vigilanza.

L’accordo non c’è e dunque non c’è nessuna indicazione. Tanto più che Salvini sembra deciso a insistere sulla possibilità di mantenere Foa alla presidenza, di fatto se non di nome, nonostante la bocciatura. Ma è evidente che, se la situazione non si sbloccherà nei prossimi giorni, il conflitto finirà per coinvolgere il capo dello Stato con il rischio di degenerare in conflitto istituzionale. Il capogruppo del Pd al Senato Marcucci, fedelissimo renziano, è già sul piede di partenza: «Se l’occupazione abusiva della Rai da parte di Foa continuerà siamo pronti a rivolgerci al capo dello Stato. Il braccio di ferro ingaggiato da Salvini con il resto del mondo va però stretto anche al M5S e non faciliterà le cose la notizia, confermata dal Viminale, dell’ingresso del figlio di Foa nello staff comunicativo di Salvini. Uno di quegli scambi contro i quali i 5S tuonano da sempre.

Ma se sul fronte Rai la situazione resta immobile, le conseguenze dello scontro tra Lega e Fi sul nome di Marcello Foa terremotano ogni giorno di più il centriodestra. Mercoledì sera, nel pieno della tempesta, Berlusconi aveva provato a gettare acqua sul fuoco derubricando il contrasto a normale dialettica tra alleati. Ieri mattina si è trovato per tutta risposta un’intervista dinamitarda a Salvini sul QN: «Non siamo noi a volere la fine del centrodestra. Ma se Fi sceglie il Pd e vuole fare un partitone Pd-Fi faccia pure. Auguri». E’ la linea d’attacco propagandistica decisa in anticipo da Salvini: trasformare la sfida sulla Rai nella prova di un ancora inconfessato fronte comune tra Arcore e il Nazareno.

Berlusconi, lasciando il san Raffaele, prova a smarcarsi: «Il centrodestra è ineliminabile. Dobbiamo andare d’accordo». Ma la realtà è che il Cavaliere è stretto tra l’offensiva di Salvini, che mira a razziare non tanto i dirigenti o i parlamentari azzurri quanto i quadri intermedi sconosciuti a Roma ma fondamentali sul territorio, e, sull’altra sponda, l’impeto del suo stato maggiore che vuole ormai apertamente lo scontro con il Carroccio. Se il capo fa il possibile per moderare i toni, generali e alti ufficiali vanno invece all’attacco. Non solo sul fronte della Rai e del “metodo” adottato in quel caso dal leghista ma anche su tutti gli altri fronti, e prendendo di mira il merito. Sull’immigrazione ad esempio. «Sono stata la prima a dire che non mi sento a mio agio in un centrodestra dove si parla di una tragedia umanitaria come di una pacchia», affonda per l’ennesima volta Mara Carfagna. O sull’economia, con Brunetta che difende la linea prudente di Tria contro «la politica economica tassa e spendi di Lega e M5S».

La strategia subdola messa in opera da Salvini però sembra vincente. «Registriamo una valanga di richieste di partecipazione da parte degli eletti di Fi» esulta il sottosegretario leghista agli Esteri Picchi. Esagera ma non troppo. In Campania, soprattutto nel salernitano, il travaso potrebbe diventare un’emorragia. Nel Lazio la situazione è altrettanto grave, soprattutto in Ciociaria. In Toscana gli eletti azzurri devono tutto agli elettori leghisti e lo sanno. Al vertice tutto si muove con maggior felpatezza, anche perché per ora Salvini mira ai signori delle preferenze più che ai parlamentari, ma alcuni dirigenti, come Nunzia Di Girolamo sono ogni giorno più vicini al carro leghista e Toti, eterno indeciso, resta a metà strada tra la casa madre e il Carroccio. Per questo Berlusconi tenterà probabilmente nei prossimi giorni di rimettere in sesto quel che resta del centrodestra. Ma per farlo deve trovare un modo di aggirare lo scoglio Rai.