Bernard Cazeneuve è il nuovo primo ministro francese. Avvocato, 53 anni, sostituisce Manuel Valls, che ha dato le dimissioni per partecipare alle primarie del Partito socialista (22 e 29 gennaio) in vista della candidatura per le presidenziali. Lascia il ministero degli Interni a Bruno Le Roux, fedele di Hollande, finora responsabile capogruppo Ps all’Assemblée. Il rimpasto è minimo, con la sola inversione di due sotto-segretari, mentre tutti i ministri restano al loro posto. E una cosa è certa: Caeneuve sarà il primo ministro di più breve durata della storia della V Repubblica, resterà in carica nei 5 mesi che mancano alle presidenziali. Il parlamento, inoltre, sospende l’attività a febbraio, in vista dell’elezione-chiave della Repubblica francese.

Cazeneuve, prima di essere nominato agli Interni nell’aprile 2014, con la presidenza Hollande era stato responsabile degli Affari europei e ministro del Bilancio. In precedenza, deputato dal ’97, era stato sindaco di Cherbourg. Come ministro degli Affari europei, lui che aveva votato «No» al referendum sul Trattato costituzionale del 2005, aveva fatto digerire ai deputati socialisti scontenti l’adozione del Patto di stabilità (che Hollande in campagna elettorale aveva promesso di riformare). Agli Interni, ha gestito una sequenza di crisi spaventose: la serie di attentati del 2015-16 (238 morti), lo stato di emergenza (che sarà di nuovo rinnovato per durare fino alle elezioni), l’ondata di grandi manifestazioni della scorsa primavera contro la Loi Travail, anche la morte dell’ecologista Rémy Fraisse nel 2014, ucciso da un tiro di granata della gendarmeria. Cazeneuve non è un tenero, ha avuto la mano dura, ha messo ai domiciliari molti manifestanti (della Cop21 e della Loi Travail), trattati con la stessa repressione adottata verso i jihadisti.

È con questo politico considerato serio ed efficiente, che non fa ombra a nessuno (sembra che voglia abbandonare la politica tra 5 mesi) che Hollande ha deciso di concludere il suo mandato. Cazeneuve non offre alla destra punti di appiglio per attaccare troppo il governo, visto che agli Interni ha gestito senza sollevare polemiche il dramma degli attentati e usato la mano di ferro incarnando la svolta securitaria. Non ne parlano male neppure i sindacati di polizia, malgrado le manifestazioni spontanee di agenti in questo periodo per denunciare la mancanza di mezzi.

«Una scelta rispettabile che non cambia nulla al bilancio del quinquennato», per il portavoce di Jean-Luc Mélenchon, «politico rispettabile» anche per la destra. Adesso, al di là del cambio della guardia a Matignon per gestire come si dice «gli affari correnti», il Ps si prepara alle primarie. Manuel Valls, che appartiene all’ala destra del Ps, che si riferisce più a Clemenceau che a Jaurés, dopo aver diviso il partito e parlato di «sinistre irriconciliabili», ha indossato ormai i panni del «riconciliatore». L’obiettivo è potersi smarcare dal «bilancio» della presidenza Hollande, che ha impedito al presidente di ripresentarsi (magia dei sondaggi: Hollande ha già recuperato una quindicina di punti nel tasso di gradimento). Avrà di fronte un rappresentante dell’ala sinistra, molto probabilmente l’ex ministro dell’Economia Arnaud Montebourg. Entrambi sono freddi sull’Europa (come del resto il candidato della destra, François Fillon, per non parlare di Marine Le Pen). Per il Ps le primarie sono una vera sfida: deve reggere il paragone con quelle, riuscite, della destra (più di 4 milioni di votanti a tutte e due i turni) e deve fare i conti con due personalità che si presenteranno rifiutando le primarie, Jean-Luc Mélenchon (France Insoumise) e Emmanuel Macron, che ha appena fondato En Marche! («né a destra né a sinistra»). Tutto è aperto. Valls, che alle primarie del 2011 aveva preso solo il 5,6%, sembra avere possibilità di vincere.

Ma ha contro una buona fetta del partito, non solo la «fronda» e tutta l’ala sinistra, ma anche i fedeli di Hollande non sono pronti a perdonargli facilmente il comportamento da «Bruto», le manovre per bloccare la candidatura del presidente in carica. Se vincesse Valls potrebbe però attirare dei voti del centro al primo turno, ma dovrà vedersela con l’ostacolo Macron, un’incognita per il momento, che gli ha tagliato l’erba sotto i piedi a destra del Ps. Se passa Montebourg, il Pcf, che appoggia Mélenchon senza troppo entusiasmo, potrebbe cambiare idea (pensando agli accordi per le legislative di giugno). Valls porta il peso di essere il primo ministro uscente. Sarkozy, Juppé, Hollande, uomini del passato, sono stati fatti fuori in poche settimane.