Chi è, nella società medievale, un miles, parola che nel latino classico indica genericamente un combattente? È corretto tradurlo con la parola «cavaliere», e questo suo essere tale significa un combattente a cavallo o un guerriero che appartiene a un ordine sociale a parte? Da quando la cavalleria medievale emerge come un ordo? Questa aristocrazia delle armi è anche una nobiltà, nel senso che si attribuisce oggi a un lignaggio familiare? E da quando i due concetti si sovrappongono? Le sue origini sono da ricercarsi nel mondo germanico, romano, o si tratta di una piuttosto creazione medievale?

INTORNO A QUESTE e ad altre domande si è interrogata la storiografia in una stagione ricca di studi, con la Francia al centro, ma con rigogliosi contributi provenienti dalla Germania, dall’Italia, dalla Spagna, dall’Inghilterra e oltre. Non è una stagione conclusa, perché la risposta che si dà a tali quesiti non è univoca, e su questi temi si continua a discutere, com’è giusto che sia in campo storiografico.
A rinverdire il ricordo di quel dibattito c’è la ripubblicazione a più di trent’anni dalla sua prima uscita di un volume di Alessandro Barbero, L’aristocrazia nella società francese del Medioevo (Laterza, pp. 454, euro 25), che giustamente l’autore sceglie di riproporre così com’era, proprio a testimonianza di una stagione felice per questo filone di studi. Oltre una breve introduzione sullo stato dell’arte nel 1987, il libro si divide in tre parti, ognuna dedicata a un macro-tema: nobili e milites, con il progressivo sovrapporsi delle due categorie, rapporti fra cavalleria e Chiesa, ossia fra i due ordini sociali avvertiti come complementari (e per questo in conflitto fra loro), le relazioni con gli altri ceti sociali, dai mercanti ai contadini.
Con la coscienza dell’appartenenza a un’élite, a un corpo in qualche misura separato dal resto della società, la cavalleria medievale sviluppò anche una sua cultura che condusse a un’etica e a una produzione letteraria specifica: chansons de geste, romanzi cavallereschi, ai quali Barbero fa sovente riferimento.

CON LA FORMALIZZAZIONE del diritto feudale anche l’ingresso nella cavalleria comincerà ad essere regolato da norme: in principio, iniziazioni, più tardi (a partire dall’XI secolo) cerimonie più disciplinate, sebbene ancora semplici. È il rito che in italiano si chiama «addobbamento», in francese adoubement, che prevedeva due cose: la concessione delle armi e un segno, una leggera ferita rituale, magari uno schiaffo o un colpo sulla nuca o sulla spalla del neocavaliere: simile alla alapa militaris, lo schiaffo che si dava al soldato romano, e che nel rito cristiano della cresima (che rende, appunto, «soldati di Cristo») si è trasformato in una specie di carezza, che l’officiante fa con la mano destra sulla guancia del cresimando. A partire dal XII secolo, il mondo ecclesiastico accentuò i suoi tentativi di esercitare un controllo su questo universo, «cristianizzando» la cavalleria.
La creazione di ordini religioso-militari come quello dei Templari, nato nell’ambito della crociata, è uno dei segni più tangibili di tale interesse. Lo si vede bene dalla Lode della nuova milizia composta dal predicatore Bernardo di Chiaravalle per promuovere questi nuovi milites Christi quali perfetti cavalieri in opposizione alla milizia profana.

NON SEMBRA allora incongruo l’accostamento fra cavalieri del Tempio e francescani promosso da Antonio Musarra nel suo Gli ultimi crociati. Templari e francescani in Terrasanta (Salerno, pp.196, euro 16): simili in quanto entrambe «nuove religioni» nel mondo cristiano, nel loro rapporto con la crociata e la Terrasanta, nel loro avvicendarsi nella Custodia di Terrasanta, come un testimone che passa da un gruppo all’altro. Segno che lo spirito cavalleresco pervade l’Ordine a partire dal fondatore Francesco, come bene ha mostrato Franco Cardini nel suo recentissimo L’Avventura di un povero cavaliere del Cristo. Frate Francesco, Dante, Madonna Povertà (Laterza, pp. 424,euro 28). Insomma l’ideologia cavalleresca investe pressoché integralmente la società medievale: come mostra bene la copertina scelta da Musarra per il suo libro, dove un Cristo cavaliere conduce i crociati in battaglia con il coltello fra i denti.