Il vento indipendentista soffia forte, ne parliamo con Steven Forti, ricercatore presso l’Instituto de Historia Contemporanea dell’Universidade Nova de Lisboa e presso il Cefid dell’Universitat Autònoma de Barcelona.

Cosa celebrano i catalani l’11 settembre?

Stranamente non celebrano una vittoria, ma una sconfitta. L’11 settembre 1714 si concluse la guerra di successione spagnola. Il vincitore fu Filippo V di Borbone e lo sconfitto Carlo d’Austria. I catalani avevano appoggiato Carlo. Fu una guerra lunga, con molte declinazioni a livello internazionale e che si concluse con un lungo assedio alla città di Barcellona, durato 14 mesi. Quello che successe dopo è quello che si ricollega al presente. Il nuovo re Filippo V, per punire i catalani traditori, impose i Decreti di Nova Planta, che fra l’altro mettevano fine alle “libertà storiche” della Catalogna e abolivano il catalano dagli atti ufficiali. Per semplificare, alcuni ambiti di autonomia che venivano dal Medioevo e che in qualche forma erano stati mantenuti sia nel regno di Aragona sia nella prima parte di esistenza dell’unione del regno catalano-aragonese e del regno di Castilla, con questo decreto vengono cancellati. I catalani, molto più recentemente, hanno scelto questa data per celebrare la festa nazionale catalana. Dopo il franchismo, la data della Diada è stata resa ufficiale. Le manifestazioni ci sono dal 1980. Ma fino al 2011 la partecipazione a questo tipo di manifestazioni era del tutto simbolica: alcune migliaia di persone, indipendentisti puri e duri.

Come legge il collegamento che viene fatto fra il 2014 e il 1714?

Pensare, come si sente dire in questi ultimi due anni, che quello che si vuole conseguire con il referendum è riottenere le libertà abolite dai Decreti di Nova Planta è una sciocchezza. Un paragone a 300 anni di distanza non è possibile, perché è cambiata la Catalogna, è cambiata la Spagna ed è cambiato il contesto internazionale. Giocare con un mito storico e di identità nazionale, con un assedio finito in tragedia, e pensare di ritornare a un’Arcadia che non è mai esistita è politica che non ha nulla a che vedere con la storia.

Cosa pensa dell’uso della storia che fanno oggi i politici catalani?

Come storico, il mio giudizio sull’uso e abuso pubblico della storia è assolutamente negativo. Ricorderò sempre la volta che in tv per ricordare l’epoca in cui la penisola iberica era divisa in califfati, l’attuale leader di Erc, Oriol Junqueras, tagliò una anguria con una scimitarra dimostrando, secondo lui, come gli arabi tagliavano le teste dei catalani. Da un docente universitario di storia mi aspetterei altro tipo di approccio.

Cosa potrebbe succedere dopo la Diada 2014?

Due gli scenari: il mantenimento di uno status quo, in cui nonostante tutto, non succede niente, tutto rimane identico, con uno stato centralista e 17 autonomie regionali; all’estremo opposto potrebbe esserci una dichiarazione unilaterale di indipendenza del governo catalano, sostenuto da una maggioranza della società catalana. Ma potrebbero anche essere convocate le elezioni, oppure un referendum non vincolante che sblocchi la situazione, magari con un nuovo pacto fiscal, un accordo economico con Madrid, o una riforma della costituzione spagnola, che magari preveda un federalismo asimmetrico che premi i tre nazionalismi storici: quello catalano, quello basco e quello galiziano.