L’Europa viene chiamata subito in causa dal risultato del referendum in Turchia: è l’Hdp, il partito di sinistra filo-kurdo, impossibilitato a fare campagna elettorale e con la leadership decapitata mesi fa, a chiedere l’intervento della Corte europea dei diritti umani. Se la commissione elettorale turca non annullerà le schede senza timbro, fa sapere l’Hdp, ci rivolgeremo a Strasburgo.

Più cauti i paesi europei. Il ministro degli Esteri italiano Alfano ha preso tempo: «Prendiamo atto del risultato delle consultazioni e attendiamo il completamento delle verifiche di rito e la valutazione finale degli osservatori Osce – ha detto Alfano – Nel frattempo auspichiamo un coinvolgimento delle opposizioni nel percorso di implementazione delle riforme».

Un primo durissimo giudizio dall’Osce è già arrivato ma Roma attende, convinta – pare – dell’impossibilità di modificare il corso preso da Ankara, visto il richiamo ad una potenziale (ma improbabile) apertura alle opposizioni. Simile la posizione francese: il presidente Hollande fa sapere di voler seguire «con grande attenzione le valutazioni dei controlli dell’Osce».

Chi ci va giù pesante, invece, è l’Austria che con il governo turco è stata protagonista di uno dei bracci di ferro più duri nelle scorse settimane, quando i paesi nordeuropei hanno impedito ai ministri di Erdogan di tenere comizi. Il ministro degli Esteri austriaco Kurz ha chiesto a Bruxelles di porre fine ai negoziati (in stallo da anni) con la Turchia per l’ingresso nell’Unione Europea.

Il risultato, ha detto Kurz, «è un chiaro segnale alla Ue», con Ankara che si allontana dai principi della democrazia e dello Stato di diritto. Una convinzione che si rafforza con le dichiarazioni che uscivano ieri dal palazzo presidenziale turco, pronto ad un nuovo referendum, stavolta per la reintroduzione della pena di morte.

Il presidente del parlamento europeo Tajani affida a Twitter le preoccupazioni di Strasburgo: la pena di morte «è una linea rossa». Optano per il comunicato congiunto il presidente della Commissione Juncker, la rappresentante agli Affari Esteri Mogherini e il commissario all’Allargamento Hahn: «Gli emendamenti costituzionali saranno valutati nell’ottica del rispetto degli obblighi della Turchia come un paese candidato all’adesione nell’Ue. Invitiamo la Turchia a ricercare il più ampio consenso possibile nell’attuazione delle modifiche costituzionali».

La cautela è l’opzione di Angela Merkel. La Germania, scrive in una nota, ha chiesto alla Turchia «un dialogo rispettoso di tutte le parti politiche e civili»: «[Il voto] mostra quanto profonda sia la spaccatura della società turca, ciò significa una grande responsabilità per i vertici dello Stato».

Spaccatura che si riflette all’estero: più della metà dei cittadini turchi residenti in Europa ha barrato il sì. Il 63% dei votanti ha sostenuto la riforma di Erdogan in Germania, percentuale che supera il 70% in Austria, Belgio e Olanda.

Spostandoci a oriente, a Mosca, i toni sono melliflui: il portavoce del Cremlino Peskov ha dato voce alla posizione del presidente Putin che di Ankara è un amico-nemico traballante. «Il referendum è un affare sovrano della Repubblica turca – dicono dal Cremlino – Tutti dovrebbero rispettare l’espressione della volontà del popolo turco».

Nessuna menzione dei metodi ben poco democratici in cui voto e campagna elettorale si sono svolti: la Russia non intende arrivare ad un’altra rottura con la Turchia, che da qualche settimana pare essere predisposta a seguire il vecchio alleato Usa nelle incendiarie politiche mediorientali.